Gianfranco Brunelli
“Ulisse. L’arte e il mito”
Forlì, Musei San Domenico
Fino al 31 ottobre 2020
mostraulisse.it
Il più grande viaggio dell’arte mai raccontato
Quanti Ulisse! E quante Odissee! Il protagonista dell’Odissea è il più antico e il più moderno personaggio della letteratura occidentale. Egli getta un’ombra lunga sull’immaginario dell’uomo, in ogni tempo. L’arte ne ha espresso e reinterpretato costantemente il mito. Raccontare di Ulisse ha significato raccontare di sé, da ogni riva del tempo e raccontarlo utilizzando i propri alfabeti simbolici, la propria forma artistica, attribuendogli il significato del momento storico e del proprio sistema di valori.
Dall’Odissea alla Commedia dantesca, da Tennyson a Joyce e a tutto il Novecento, di volta in volta, Ulisse è l’eroe dell’esperienza umana, della sopportazione, dell’intelligenza, della parola, della conoscenza, della sopravvivenza e dell’inganno. E’ “l’uomo dalle molte astuzie e “dalle molte forme”.
Dopo la Guerra di Troia, quando affronta le sue avventure nel viaggio del lungo ritorno, egli è già un personaggio famoso. Ma quel viaggio è anche la faticosa riconquista di sé, della propria identità, attraverso il recupero narrativo della sua vicenda alla corte di Alcinoo, attraverso la memoria del ritorno. Così come accade all’arte, che narra narrandosi, che racconta l’oggetto e la sua forma stilistica.
La nuova grande esposizione ai Musei San Domenico di Forlì presenta oltre 200 opere tra le più significative di ogni tempo. Dall’antico al Novecento. Pittura, scultura, miniature, mosaici, ceramiche, arazzi e opere grafiche ricomprendono il viaggio di Ulisse come viaggio dell’arte.
Fin dall’antichità gli artisti non hanno cercato di illustrare in forma puramente didascalica l’intera Odissea. Se l’età arcaica privilegia gli episodi di Polifemo, di Circe, di Scilla e delle Sirene, l’età classica aggiunge gli incontri e i riconoscimenti: l’incontro con Tiresia, Atena, Nausicaa e Telemaco, il dolore e l’inganno della tela di Penelope, il riconoscimento della nutrice Euriclea, la strage dei Proci. L’ellenismo aggiunge l’incontro domestico e commovente con il cane Argo, l’abbraccio e il riconoscimento tra Ulisse e Penelope, l’arte romana infine, oltre a ripetere i modelli precedenti, raffigura, quale epilogo consolatorio, l’abbraccio tra Ulisse e il padre Laerte. L’arte antica non è interessata a mettere in scena il poema epico, quanto un uomo che attraverso le sue molteplici e dolorose esperienze ha imparato a conoscere se stesso.
Dante, che scrive 2000 anni dopo Omero, usa gli autori latini che sottolineano le qualità di Ulisse. Così nel canto XXVI dell’Inferno egli conferisce a Ulisse una nuova e diversa centralità. L’Ulisse di Dante non è spinto dalla nostalgia del ritorno, né, come l’Enea virgiliano, è mosso da una missione, egli è un viandante spinto dall’ardore “a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore”, e si lancia “per altro mare aperto”, verso il “folle volo”.
L’influsso di Dante sull’arte non riguarda solo codici e miniature, capitelli e disegni, ma giunge fino ad artisti come Botticelli e la sua rilettura illustrata della Commedia, Signorelli e Federico Zuccari, per poi immergersi in un lungo silenzio fino a William Blake e all’Ottocento. Mentre le narrazioni omeriche sopravvivono nei cassoni fiorentini dipinti del Quattrocento, che appartengono ancora al gusto epico-cortese, con pittori come lo Scheggia e Apollonio di Giovanni. Per rifiorire poi nei disegni e nelle opere di Filippino Lippi o del Parmigianino.
Le diverse interpretazioni della figura di Ulisse si fanno sentire anche nei cicli figurativi del Cinquecento, che si diffondono nelle regge e nei palazzi di mezza Europa. Con un carattere non solo illustrativo o decorativo, ma in una sintesi integrata tra valori formali e valori morali espressi da artisti quali Nicolò dell’Abate, Primaticcio fino alle tele di Beccafumi, Dossi, Spranger. In questo ambito Ulisse è l’uomo virtuoso che affronta e vince le prove, personali e pubbliche. Il Seicento di Rubens, Lorrain, Jordaens, Cornelis, tra natura e teatro ne raffigura e diffonde il mito fin nelle manifatture.
Col classicismo di Canova, Mengs e Füssli, il Settecento _ anche per la ripresa degli studi omerici e delle nuove scoperte archeologiche _ si mostra come un secolo omerico, mentre il romanticismo di Hayez avvia un ulteriore rinnovamento. Il XIX secolo ritrova nel mito del viaggiatore e del viandante (da Foscolo a Tennyson, dal Romanticismo a Nietzsche), qualcosa di odissiaco nel destino dell’uomo moderno. I Preraffaelliti, e in generale le inquietudini allusive del Simbolismo, attraverso le raffigurazioni di soggetti quali Calipso, Circe, Penelope o le Sirene vagheggiano la visione onirica di un mondo che oramai sfugge al desiderio di bellezza ed è sopraffatto dalla realtà quotidiana, ma non rinunciano a un contenuto artistico che trascenda l’esperienza ordinaria e porti l’esistenza quotidiana dell’individuo su un piano universale.
Il XX secolo _ sulla scorta dei capolavori letterari di Eliot, Kafka, Pascoli, Pavese, Primo Levi, Kavafis e soprattutto l’Ulisses di Joyce _ fa di Ulisse il prototipo dell’uomo contemporaneo: inquieto, alienato, irrimediabilmente diviso nel proprio io. Per questo più che un ritorno integrale al mito, al suo racconto, l’arte celebra ritratti isolati e parziali dell’eroe. Frammenti. Da Böcklin a De Chirico, da Savinio a Cagli, da Meštrović a Martini, assistiamo alla definizione di un’arte come ricerca e rappresentazione di un varco, di una via d’uscita possibile che altrimenti si nega all’eroe divenuto uomo.
L’Ulisse del Novecento non riesce di fatto a ritrovare Itaca. Il suo ricordo del ritorno si è perduto. E «scordare il ritorno», significa scordare la forma del proprio destino. Il viaggio attraverso un universo così straordinariamente ricco e diversificato, che questa mostra propone, consente di cogliere i tratti più caratteristici di singoli segmenti della tradizione figurativa, nonché il rispecchiamento della propria ricerca esistenziale tra poesia e storia.
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