MATTEO MARCHESINI

Conversazione di Livio Partiti con Matteo Marchesini "Atti mancati", Voland.

 

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MATTEO MARCHESINI

ATTI MANCATI

VOLAND

 

Nel cuore di
Bologna, Marco, trentenne diviso tra le incombenze giornalistiche e il
tentativo di finire un romanzo, vive in una solitudine cocciuta e il più
possibile asettica, fino a quando ricompare Lucia, la ragazza che lo ha
lasciato qualche anno prima. Ora Lucia cerca Marco, lo assedia e lo
porta in giro per paesi e campagne, a visitare i loro luoghi di un
tempo, a ritrovare gli amici vivi e gli amici morti. Tra Bassa e
Appennini, tra cliniche e osterie, Lucia – come una fragile ma tenace
erinni – costringe Marco a rianalizzare le zone più oscure del loro
passato.

Atti mancati è una storia d’amore e di suspense. È una
parabola sul tempo trascorso ostinatamente a occhi chiusi e su quello
vissuto a occhi spalancati. È il referto di una malattia, steso con
furore analitico e insieme con uno stile semplice, da presa diretta.

 

ascolta qui la conversazione

MATTEO MARCHESINI

così comincia:

A un certo punto, senza accorgertene, hai trentatré anni. E non puoi
neanche dire di non aver raggiunto, almeno in parte, ciò che volevi. Fai
un lavoro che non ha orari e quasi non ha gesti, asettico, ripulito da
ogni sgradevole contatto umano. Non ricordi nemmeno più quando ha preso
piede in te questa necessità di limare, escludere, cancellare tutto:
rapporti, viaggi, imprevisti quotidiani. Sai solo che ora che hai quasi
raggiunto l’obiettivo, lisciato ogni contorno, pareggiato ogni asperità,
non ricordi più perché l’hai fatto. Ti chiedi per quanto tempo sarà
possibile barare scrivendo il tuo articolo giornaliero senza lasciar
capire che dietro è stato tolto l’audio dell’esperienza.


O forse tu non te ne accorgi, ma lo si è sempre capito: forse ha
ragione chi dice che non si può mai barare davvero, neanche scrivendo, e
dunque davanti a chi ti legge sui giornali hai l’aria di quei bambini
che non vedendo credono di non essere visti.


D’altra parte, a barare hai cominciato presto. Hai cominciato presto a
credere che le parole corrano parallele alle cose, e che senza conoscere
davvero con i sensi, senza scontare col dolore un determinato stato di
cose si possa per qualche coincidenza formale, tramite una specie di
procedimento algebrico, darne con le parole un equivalente in grado
d’ingannare sulla totale inesperienza dei fatti. A forza di tagliare
ponti, sei riuscito a rielaborare un passato leggendario in cui
attraversi fino in fondo situazioni che nella realtà hai appena
sfiorato: ti sei costruito a posteriori un’adolescenza normale, una
prima giovinezza decente di compagnie e bravate. E quasi quasi ci credi.

 

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IL POSTO DELLE PAROLE

ascoltare fa pensare