Elsa Flacco “Per Francesco, che illumina la notte”

Elsa Flacco Elsa Flacco. Per Francesco, che illumina la notte. Oakmond Publishing.

Elsa Flacco
“Per Francesco, che illumina la notte”
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Assisi, Ottobre 1224
I frati Tommaso da Celano e Giacomo da Bevagna tornano dopo tre anni di missione in Germania per rivedere Francesco, già molto malato. Dopo un viaggio in Abruzzo alla ricerca delle proprie radici, Tommaso vivrà un periodo cruciale della sua esistenza, due anni in cui starà accanto a Francesco fino alla sua morte e incontrerà Jacopa dei Settesoli, origine di una passione proibita e sconvolgente.

La morte del Santo segnerà l’inizio di una storia fatta d’intrighi e tradimenti, inganni e violenze senza esclusione di colpi, in un conflitto che vedrà protagonisti, accanto e al di sopra dei francescani in lotta, tre papi e un imperatore: Federico II, l’unico in grado di cambiare la visione del mondo del mite e colto frate Tommaso.

Tra fughe negli eremi dell’Appennino e viaggi in Oriente, alle prese con politici corrotti e segreti inconfessabili, erboristi e alchimisti, artisti e letterati, i due discepoli Leone ed Elia si ritroveranno dapprima alleati contro i chierici dotti, poi avversari irriducibili, fino alla scelta sorprendente di Elia, solo contro tutti.

Diviso tra opere intellettuali e impegno militante, Tommaso capirà alla fine che il bene e il male spesso si confondono, non solo nella mente dei semplici. Sa di aver sbagliato tutto e per rimediare, almeno in parte, scrive. Donando ai posteri la propria testimonianza.

Il romanzo si ispira al ritrovamento, nel 2014, della cosiddetta Vita intermedia di Tommaso da Celano, che riempie il vuoto tra le sue due biografie di Francesco fino ad allora conosciute. A Tommaso da Celano la tradizione attribuisce anche la celebre sequenza della liturgia dei morti Dies irae, i cui lugubri accenti hanno ispirato molti compositori.

Campagna umbra, ottobre 1224
Il sole sfiorava l’orizzonte, le ombre si allungavano sul terreno: mancava poco all’arrivo della sera. I due frati si fermarono, contemplando il borgo raggruppato intorno alla chiesa e il campanile che svettava contro la luce radente degli ultimi raggi. La temperatura era gradevole, mite per quella stagione; o almeno tale la sentivano loro, reduci da un viaggio interminabile dal lontano settentrione, dopo aver attraversato montagne e boschi, colline e paludi, con caldo, pioggia e ogni tempo. Ma la lunga estate di cammino non bastava a far dimenticare i gelidi inverni d’Alemagna, e adesso assaporavano voluttuosamente l’ultima carezza del sole, così dolce sul saio di tela grezza che li copriva. Restarono in silenzio, assorti in una visione che avevano a lungo rimpianto negli anni delle asprezze germaniche. Il più alto e meno giovane ruppe il silenzio per primo:

«Non siamo lontani dal tuo paese, Giacomo: dovrebbe essere poche miglia a mezzogiorno di Perugia, se non sbaglio. Non vi sono mai stato».

«Sì, Bevagna è vicina, non ci torno da tre anni e non vedo l’ora di rivederla.» Si voltò verso il compagno: «Immagino che per te sia lo stesso: da quando manchi dall’Abruzzo?»

«Da molto tempo. Era il 1215 quando sono stato per l’ultima volta a Celano, nella terra dei Marsi, insieme a Francesco: subito dopo essere entrato nella fraternitas ha voluto che lo accompagnassi in un giro di predicazione da quelle parti. Non vi sono più tornato da allora.»

«Non ho mai visto le montagne d’Abruzzo, Tommaso, mi ci devi portare.»

«Non hai idea di che vertigine possano dare, a voi che vivete tra queste colline tondeggianti così ben coltivate, in una terra accogliente dove tutto parla del Creatore. Non potete immaginare l’asprezza delle nostre rocce, i picchi altissimi innevati per tanti mesi.»

«Ne avrai nostalgia, dopo tanti anni. Adesso però potrai tornarci, il viaggio non è lungo.»

«Credo che andrò, ma non so quando. Ogni tanto mi assale il ricordo della famiglia, del palazzo dove sono cresciuto; soprattutto da quando ho saputo che Celano è stata distrutta per ordine dell’imperatore, nella primavera dell’anno scorso.»

«La tua città? E per quale motivo?»

«Federico II ha voluto punire l’arroganza del conte Tommaso, figlio di Pietro, che stava contrastando la sua politica. Chi c’è stato ha riferito dell’incendio, del silenzio, dell’abbandono. Ma il mio popolo è fiero, la ricostruirà più bella di prima. E io tornerò e vincerò il dolore e la rabbia: sono sentimenti che non devono albergare nell’animo di nessuno, meno che mai di un frate minore.»

«Mi dispiace, non sapevo nulla, la situazione del Regno non è ben conosciuta dalle nostre parti. Dev’essere doloroso riavvicinarsi alla patria sapendo che non si ritroveranno le case, le strade, le chiese.»

«Dovrò farmi coraggio.»

«Se decidi di andare entro l’inverno, e se può esserti di conforto, verrò con te, mi piacerebbe visitare la tua terra. Sai che a primavera dovrò ripartire, mi aspettano incarichi importanti lassù, non posso sottrarmi. Ma un giorno tornerò anch’io per restare.»

«Se vorrai accompagnarmi ne sarò felice: in due si affronta meglio qualsiasi cammino, e noi abbiamo già percorso parecchie miglia insieme.» Tommaso sorrise.

«Accetto molto volentieri e ti ringrazio.» Tacque un momento. «Adesso però sono in ansia per fratello Francesco, le ultime notizie non erano rassicuranti. Sono tornato soprattutto per rivederlo.»

«La sua salute è sempre stata debole, ma il suo animo ha un vigore straordinario; preghiamo il Signore che gli dia la forza di vincere infermità e dolore.»

Giacomo sospirò, poi si mosse.

«Scendiamo in paese, che dici? Chiediamo da mangiare e un riparo per la notte. Francesco non ci biasimerebbe, alla fine di un lungo viaggio anche due poveri frati hanno bisogno di riposare.»

«E di riempire la pancia vuota: per trovare la forza di fare del bene, come ci raccomanderebbe lui. Almeno qualche boccone di pane e rape riusciremo a rimediarlo, speriamo anche qualcosa di meglio.»

Si avviarono lentamente. Il sole era sceso sotto l’orizzonte, le ombre erano scomparse. E la sera avanzava silenziosa.


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