Tiziano Gaia
“Stappato”
Un astemio alla corte di Re Carlo
Baldini + Castoldi
www.baldinicastoldi.it
«Il vino è molto di più di un sorso che scorre in gola in cambio di un punteggio. È una finestra spalancata sulla vita. Siamo ciò che beviamo, terra e passione ci impastano alla stregua dei migliori cru. Diventiamo grandi annusando, assaggiando, degustando. L’esercizio dei sensi ci guida alla scoperta non solo del vino, ma di ogni altro aspetto della nostra esistenza. Tra un’edizione e l’altra di Vini d’Italia, tra una batteria di Verdicchio e una di Valpolicella, persino tra una sniffata e il gorgheggio successivo, oltre la distesa impressionante delle bottiglie a cui ho tirato il collo in tutti questi anni, ho visto cambiare il mio paese, i miei amici, l’Italia e il mondo. Anche il vino non è rimasto lo stesso, e la sua camaleontica natura spesso ha anticipato eventi e mutamenti, sublimandoli in una sbornia collettiva.»
Tiziano Gaia
«Al termine della prima settimana, seicento assaggi avevano già azzerato ogni mia volontà di capirci ancora qualcosa. In quattro, cinque giorni mi spazzolavo la storia del Barolo o dell’Amarone, pretendendo anche di giudicarla. Era come stilare la classifica dei migliori film della stagione, fermandosi ai titoli di testa. Il mio spettacolo non andava mai oltre l’unghia del bicchiere. E seduti di fronte a me, non vedevo più colleghi e collaboratori, ma polli da batteria, costretti a beccare senza sosta.»
Con tono schietto e pungente, Tiziano Gaia ci conduce nel mondo dei vini e di chi li degusta per professione, alternando autobiografia, coloriti aneddoti, curiose disquisizioni tecniche e riflessioni sulla spettacolarizzazione dell’enogastronomia.
La sua esperienza da «paura e delirio a Slow Food» sotto l’egida del carismatico fondatore, gli anni di coinvolgente apprendistato, la descrizione della giornata-tipo in veste di degustatore per Vini d’Italia, una maratona di un centinaio di assaggi quotidiani per tre mesi l’anno, fino ai vividi ritratti delle figure più importanti della viticoltura italiana, l’ascesa del Barolo, i riti contadini e i costumi delle Langhe, tra balòn e partite a tressette, il tartufo e lo storico mercato delle uve di Alba. Un dissacrante «dietro le quinte» della critica enologica e una storia del vino raccontata in modo originale e sagace, incentrata sulla sua trasformazione in bene voluttuario, spogliato della funzione di bene primario e dunque potenzialmente inutile, ma a cui l’Autore riconosce la straordinaria capacità di cavalcare o addirittura anticipare i cambiamenti socio-culturali del nostro tempo.
IL POSTO DELLE PAROLE
ascoltare fa pensare
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