Marco Ferrari “Caporetto”

Marco Ferrari Marco Ferrari, Arrigo Petacco. Caporetto. Mondadori Editore

Marco Ferrari, Arrigo Petacco
“Caporetto”
24 ottobre – 12 novembre 1917: storia della più grande disfatta dell’esercito italiano
Mondadori Editore

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La battaglia di Caporetto è diventata simbolo di disfatta nel linguaggio comune: la principale sconfitta dell’esercito italiano nella storia causò migliaia di morti, decine di migliaia di feriti, oltre a una quantità incredibile di prigionieri e sfollati.

Il disastro fu l’effetto della mancanza di un piano strategico dei vertici militari, le cui conseguenze furono gravose: la ritirata, la pesante occupazione del Friuli e del Veneto e la violenza sulle donne, l’esodo della popolazione locale, il grave problema dei prigionieri italiani lasciati a morire nei lager dell’impero, il rientro in patria dei superstiti e l’ostruzionismo nei loro confronti, il doloroso recupero delle salme. «I soldati hanno mollato» si sostenne al comando vedendo la falla aperta e la disfatta profilarsi. Cadorna telegrafò al ministro della Guerra affibbiando la responsabilità della sconfitta a «dieci reggimenti arresisi senza combattere». Ma non era vero: con pesanti sacrifici umani molti soldati resistettero, permettendo ad altri la ritirata. Al di là dei nomi dei reparti, si trattava di uomini in carne e ossa, giovani e meno giovani, persone sposate o piene di sogni, che lasciarono la loro vita sul terreno di battaglia per salvarne altre.

In occasione del centenario della battaglia di Caporetto, Arrigo Petacco e Marco Ferrari raccontano in un saggio storico, che è anche un inedito reportage sui luoghi dello scontro, l’assurdità dell’atteggiamento italiano, gli errori degli alti comandi, la disumana vita di trincea, il massacro di migliaia di contadini analfabeti, le esecuzioni sommarie della nostra truppa e la disordinata e scomposta rotta.

E ci spiegano che Caporetto non esiste, è solo un’invenzione italiana durata qualche decennio. La Caporetto finita nei libri di storia si chiama in realtà Kobarid e lì un esercito di collezionisti ancora oggi estrae dalle trincee e dalle caverne il materiale usato dai soldati sui due fronti. La cittadina slovena è infatti ricca di piccoli musei, collezioni private, le trincee sono state recuperate, i viaggi nella memoria di discendenti di soldati sono costanti. Riemergono così in tutta la loro drammaticità storie individuali e collettive di una guerra che ancora parla, e si presenta con le sue atrocità.

Arrigo Petacco è nato a Castelnuovo Magra (La Spezia) e vive a Portovenere. Giornalista, inviato speciale, è stato direttore della «Nazione» e di «Storia illustrata», ha sceneggiato film e realizzato programmi televisivi di successo. Nei suoi libri affronta i grandi misteri della storia, ribaltando spesso verità giudicate incontestabili. Fra gli altri ricordiamo, pubblicati da Mondadori: Dear Benito, caro Winston; I ragazzi del ’44; La regina del Sud; Il Prefetto di ferro; La principessa del Nord; La Signora della Vandea; La nostra guerra. 1940-1945; Il comunista in camicia nera; L’archivio segreto di Mussolini; Regina. La vita e i segreti di Maria José; Il Superfascista; L’armata scomparsa; L’anarchico che venne dall’America; L’amante dell’imperatore; Joe Petrosino; L’armata nel deserto; Ammazzate quel fascista!; Il Cristo dell’Amiata; Faccetta Nera; L’uomo della Provvidenza; La Croce e la Mezzaluna; ¡Viva la muerte!; L’ultima crociata; La strana guerra; Il regno del Nord; O Roma o morte; Quelli che dissero no; Eva e Claretta; A Mosca, solo andata; Nazisti in fuga e, con Marco Ferrari, Ho sparato a Garibaldi.

Marco Ferrari è giornalista, scrittore e autore televisivo. Ha esordito nella narrativa nel 1988 con il romanzo Tirreno, cui hanno fatto seguito I sogni di Tristan, Alla rivoluzione sulla Due Cavalli, Grand Hotel Oceano, La vera storia del mitico undici, Ti ricordi Glauber, Cuore Atlantico, Morire a Clipperton, Le nuvole di Timor e il reportage Mare verticale. Dal suo romanzo più famoso, Alla rivoluzione sulla Due Cavalli, ha tratto la sceneggiatura dell’omonimo film che ha vinto il Pardo d’Oro al Festival di Locarno 2001.

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