Umberto Curi “Festival Filosofia”

Festival Filosofia Festival Filosofia

Umberto Curi
“Festival Filosofia”

festivalfilosofia.it

Festival Filosofia
Sabato 19 Settembre 2020, ore 11:30 – Carpi
lezione magistra di Umberto Curi
“Tecnica. Tra dono e inganni”


Come si delinea l’ambivalente sapere tecnico che, come ogni pharmakon, è insieme antidoto e veleno?

Umberto Curi è professore emerito di Storia della filosofia presso l’Università di Padova e docente presso l’Università “Vita e salute” San Raffaele di Milano. È stato visiting professor presso numerosi atenei europei e americani. Nei suoi studi si è occupato della storia dei mutamenti scientifici per ricostruirne l’intima dinamica epistemologica e filosofica. Più di recente si è volto a uno studio della tradizione filosofica imperniato sulla relazione tra dolore e conoscenza e sui concetti di logos, amore, guerra e visione. Tra le sue pubblicazioni: La cognizione dell’amore. Eros e filosofia (Milano 1997); Polemos. Filosofia come guerra (Torino 2000); Lo schermo del pensiero. Cinema e filosofia (Milano 2000); Il farmaco della democrazia (Milano 2003); La forza dello sguardo (Torino 2004); Un filosofo al cinema (Milano 2006); Terrorismo e guerra infinita (Assisi 2007); Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche (Torino 2008); Miti d’amore. Filosofia dell’eros (Milano 2009); Straniero (Milano 2010); Via di qua. Imparare a morire (Torino 2011); Passione (Milano 2013); L’apparire del bello. Nascita di un’idea (Torino 2013); La porta stretta. Come diventare maggiorenni (Torino 2015); I figli di Ares. Guerra infinita e terrorismo (Roma 2016); La brama dell’avere (con S. Chialà, Trento 2016); Le parole della cura. Medicina e filosofia (Milano 2017); Veritas indaganda (Nocera Inferiore SA 2018); Il colore dell’inferno. La pena tra vendetta e giustizia (Torino 2019).


Umberto Curi
“Il colore dell’inferno”
La pena tra vendetta e giustizia
Bollati Boringhieri

bollatiboringhieri.it
«Dove mai avrà termine, dove mai placata cesserà la furia di Ate?» L’interrogativo angoscioso di Eschilo non smette di risuonare dopo migliaia di anni. Abbiamo forse dimenticato il nome della funesta divinità greca che prima induceva gli uomini in errore e poi ne esigeva inclemente la punizione, ma della sua vendicatività rimane un’impronta nell’idea di giustizia a cui è ispirata l’attuale civiltà giuridica. La rassicurante contrapposizione tra vendetta e barbarie da un lato – la violenza sommaria del «sangue chiama sangue» – e giustizia e civiltà dall’altro tradisce infatti una infondatezza che sgomenta. Scrutando nel cono d’ombra dell’azione penale con lo sguardo penetrante di chi coglie ambivalenze e fratture nella presunta rotondità dei concetti, Umberto Curi vi rintraccia l’aspetto arcaico e irrisolto che tinge ancora il dispositivo della pena del «colore dell’inferno», secondo l’espressione di Simone Weil. Lungo il tragitto a lui familiare, che dalla grecità dei filosofi e dei tragici arriva a Nietzsche e al pensiero contemporaneo, Curi testa la resistenza, e la fragilità, del principio di giusta «retribuzione» del reato attraverso un castigo adeguato. L’equità che intende garantire era invocata anche dall’ingiunzione biblica «frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente» e dalla legge del taglione fissata dalle XII Tavole romane, ossia dai meccanismi che prevedevano la reciprocità del danno. Infliggere sofferenza al colpevole, sia per ristabilire l’ordine cosmico infranto sia, più modernamente, a scopo rieducativo o preventivo, oscilla tra una concezione sacrale della pena come espiazione e una visione compensativa che rimanda all’antica relazione tra debitore e creditore. Impostazioni che, tuttavia, sortiscono l’effetto-paradosso di assolvere la colpa, una volta estinto il debito con la pena, senza alleviare il dolore della vittima. Proprio alla fuoriuscita dalla logica del paradigma retributivo e di quello pedagogico lavora oggi la giustizia riparativa, che mette invece al centro il rapporto tra offensore e offeso. Perché si possa, infine, sottrarre alla crudele Ate l’insidioso terreno in cui prospera.

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