CONVERSAZIONE
DI
LIVIO PARTITI
CON
TINA MONTONE
TRADUTTRICE
"DIARIO"
ETTY HILLESUM
ADELPHI
All’inizio di questo Diario, Etty è una giovane donna di
Amsterdam, intensa e passionale. Legge Rilke, Dostoevskij, Jung. È
ebrea, ma non osservante. I temi religiosi la attirano, e talvolta ne
parla. Poi, a poco a poco, la realtà della persecuzione comincia a
infiltrarsi fra le righe del diario. Etty registra le voci su amici
scomparsi nei campi di concentramento, uccisi o imprigionati. Un giorno,
davanti a un gruppo sparuto di alberi, trova il cartello: «Vietato agli
ebrei». Un altro giorno, certi negozi vengono proibiti agli ebrei. Un
altro giorno, gli ebrei non possono più usare la bicicletta. Etty
annota: «La nostra distruzione si avvicina furtivamente da ogni parte,
presto il cerchio sarà chiuso intorno a noi e nessuna persona buona che
vorrà darci aiuto lo potrà oltrepassare». Ma, quanto più il cerchio si
stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza
dell’anima. Non pensa un solo momento, anche se ne avrebbe l’occasione, a
salvarsi. Pensa a come potrà essere d’aiuto ai tanti che stanno per
condividere con lei il «destino di massa» della morte amministrata dalle
autorità tedesche. Confinata a Westerbork, campo di transito da cui
sarà mandata ad Auschwitz, Etty esalta persino in quel «pezzetto di
brughiera recintato dal filo spinato» la sua capacità di essere un
«cuore pensante». Se la tecnica nazista consisteva innanzitutto nel
provocare l’avvilimento fisico e psichico delle vittime, si può dire che
su Etty abbia provocato l’effetto contrario. A mano a mano che si
avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura, senza
incrinature. Anche nel pieno dell’orrore, riesce a respingere ogni
atomo di odio, perché renderebbe il mondo ancor più «inospitale». La
disposizione che ha Etty ad amare è invincibile. Sul diario aveva
annotato: «“Temprato”: distinguerlo da “indurito”». E proprio la sua
vita sta a mostrare quella differenza.
ascolta qui la conversazione
§
"Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati, non potrebbe essere questa l'idea? E non dobbiamo forse collaborare alla sua realizzazione?"
§
Spesso
la gente si agita quando dico: non fa poi molta differenza se tocca
partire a me o a un altro, ciò che conta è che migliaia di persone
debbano partire. Non è che io voglia buttarmi tra le braccia della morte
con un sorriso rassegnato. (…) Non è che io voglia partire a ogni
costo, per una sorta di masochismo, o che desideri essere strappata via
dal fondamento stesso della mia esistenza – ma dubito che mi sentirei
bene se mi fosse risparmiato ciò che tanti devono invece subire. Mi si
dice: una persona come te ha il dovere di mettersi in salvo, hai tanto
da fare nella vita, hai ancora tanto da dare.
Ma quel poco o molto
che ho da dare lo posso dare comunque, che sia qui, in una piccola
cerchia di amici, o altrove, in un campo di concentramento. E mi sembra
una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di ritenersi troppo
preziosi per condividere con gli altri un ''destino di massa'
§
IL POSTO DELLE PAROLE
ascoltare fa pensare