MASSIMO CASSANI

Conversazione di Livio Partiti con Massimo Cassani "Zona Franca", Tea Edizioni.

 

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L'alba di Milano è un preludio che dura un
amen. È il nanosecondo che anticipa il colpo dello starter, è un soffio
di tempo tra l'immobilità della notte inoltrata e il sorgere del sole. E
proprio poco prima di quell'amen, qualcuno uccide Luigi Pecchi detto
Gigi Sciagura, un ottuagenario stralunato e inoffensivo che predica in
giro per Milano la necessità di abbattere il Duomo. Ma chi ha deciso di
farlo fuori con tre proiettili parabellum sparati da una pistola da
guerra? Davvero quell'imprenditore edile contro cui Sciagura lancia i
suoi strali? Oppure i parenti interessati a ereditare la casa di via
Padova? Oppure ancora un misterioso personaggio che con Sciagura ha
condiviso l'adolescenza e il primo amore durante la Guerra? O forse
qualcuno che voleva impossessarsi del suo misterioso tesoro? A tutte
queste domande dovrà dare una risposta il commissario Micuzzi,
investigatore pigro e smemorato, silurato dalla Questura e parcheggiato
per punizione al commissariato Città Studi. Fra le rinnovate avances
della ex moglie, un brutale pestaggio di un'amica giornalista,
l'incontro con una simpatica danzatrice, morti sul lavoro e traffico di
stupefacenti, il commissario Micuzzi conduce personaggi e lettori alla
scoperta di una Milano popolare e multietnica che brulica incessante
lungo i marciapiedi di via Padova.

 

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MASSIMO CASSANI

 

"Tutto, li’, gli sembrava diverso. Anche gli odori. Persino il
marciapiede. Micuzzi camminava lungo via Padova lentamente, con gli
occhi bassi. Si era acceso l’ultimo Toscanello del pacchetto, dopo che
L’Armida gli aveva fatto buttar via quello che stava fumando prima di
entrare nella casa di Pecchi.


Alla sua destra scorrevano locali e negozi pieni di stranieri. Era tutto
un brulicare di umanità impegnata a far qualcosa o a non fare niente,
un disordine con un’organizzazione tutta sua, difficile da interpretare.
Alla sua sinistra, oltre la strada, un cinema a luci rosse e poi un bar
tabaccheria.


Aveva voglia di riflettere, ma tutto quello scorrere di esseri umano gli distraeva i pensieri.


Il commissario attraverso’ ed entrò a comprare un pacchetto di
Toscanelli. Già che c’era ordinò anche un cappuccino senza schiuma che
bevve a piccoli sorsi, fissando il bancone di metallo. Nessuno gli
prestava attenzione, neppure gli stanziali che parlavano lingue
sconosciute ad alta voce, gesticolando quasi fossero sull’orlo di una
rissa. Quando andò a pagare, si accorse di essere entrato con il
Toscanello acceso tra le dita. La ragazza alla cassa, italiana dai
tratti orientali, glielo fece notare. Era via Padova, quella, non una
terra di nessuno, anzi, semmai una terra di tutti.


Si senti’ in colpa.


Tornò sul marciapiede di destra e venne sfiorato dall’autobus numero 56
che percorreva la strada come una navetta multietnica in un andirivieni
incessante di gas di scarico. Poco più avanti trovo’ l’ingresso del
parco Trotter. E cosi’ era li’ il parco Trotter. Gliene parlava sua
madre, quando era piccolo. Dentro ci dovevano essere una scuola, se
ricordava bene, e pure un teatrino e una chiesetta sconsacrata e una
palestra.


Un mondo piccolo piccolo, insospettabile, protetto da abeti rossi,
aceri, betulle, cedri, faggi, ippocastani, olmi, platani, querce rosse,
robinie, tigli selvatici. Anche li’, un miscuglio di etnie. Vegetali,
però.


Per il commissario erano semplicemente alberi.


Micuzzi mise una mano nella tasca della giacca per assicurarsi che
l’agendina di Pecchi ci fosse ancora. C’era. Cerco’ una panchina al
sole. Si sedette. Alle sue spalle un gruppo di travestiti in borghese
stava giocando a pallavolo colpendo la palla con legnate secche. Le loro
grida baritonali facevano da sfondo alla corsa ritmata dei soliti
salutisti in tuta e cuffiette nelle orecchie che percorrevano il
perimetro del parco.


Chiuse un attimo gli occhi.


C’era aria di sabato."

 

 

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