Marino Niola “Memoria Festival”

memoria festival Marino Niola "Memoria Festival"

Marino Niola
“Memoria Festival”

memoriafestival.it

Memoria Festival. Il Memoria Festival raddoppia e si reinventa, realizzando uno spin-off digitale trasmesso sui canali social da venerdì 5 a domenica 7 giugno 2020, per anticipare l’appuntamento con il Pro-Memoria Festival, che si svolgerà dal 2 al 4 ottobre. Un percorso di avvicinamento verso l’edizione di ottobre, un vero e proprio raddoppio che sul web prende il via fin da subito attraverso rubriche e iniziative tematiche, in attesa di tornare a vivere la manifestazione, molto presto, in presenza.

Memoria Festival / Digitale
domenica 7 giugno 2020, ore 18:00
“Dalla maschera alla mascherina”
Con Marino Niola
La maschera copre e disvela, nasconde e difende. È ordine e contestazione, gioco e rito, comunicazione con il divino e con il diabolico, abbatte la barriera tra l’Io e l’Altro. L’antropologo Marino Niola segue il filo rosso millenario che lega la maschera alla mascherina al tempo del Coronavirus, evocatrice di quello stesso male da cui protegge.

Marino Niola è un antropologo della contemporaneità.
Insegna Antropologia dei Simboli, Antropologia delle arti e della performance e Miti e riti della gastronomia contemporanea all’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa.
Svolge attività di divulgazione su TV e Radio Rai ed editorialista de La Repubblica. Sul Venerdì di Repubblica cura la rubrica Miti d’oggi.
Collabora con Le Nouvel Observateur, Il caffè di Locarno, Il Mattino di Napoli.
Dal 2008 al 20 giugno 2010 è stato presidente del Teatro Stabile di Napoli.
Nel 2015, con l’antropologa Elisabetta Moro e il MedEatResearch, ha rielaborato la tradizionale Piramide Universale della Dieta Mediterranea allargandola alle pratiche sociali.


Claude Lévi-Strauss
“La via delle maschere”
Traduzione di Primo Levi
Il Saggiatore

ilsaggiatore.com

Narrano gli indiani della Columbia Britannica: c’era una volta un ragazzo colpito da una specie di lebbra, il suo corpo emanava un odore disgustoso e anche i suoi cari lo fuggivano. L’infelice decise di uccidersi gettandosi in un lago; scese in fondo all’acqua fino a posarsi sul tetto di una capanna, i cui abitanti soffrivano di un male misterioso. In cambio della propria guarigione, guarì i malati; così ottenne in sposa una fanciulla e in dono costumi, sistri e maschere. È, questo, uno dei racconti eziologici delle maschere cerimoniali nordamericane: opere plastiche, artistiche, a cui Claude Lévi-Strauss applica il metodo strutturalista elaborato per i miti. Trova così che se le maschere swaihwé, attraverso gli accessori e i costumi che le accompagnano, palesano un’affinità col bianco, sono ornate di penne e hanno occhi sporgenti e bocca spalancata con la lingua pendula, le maschere dzonokwa sono invece dominate dai colori scuri e guarnite di peli, hanno occhi forati o semichiusi, mammelle pendenti fino a terra e bocca contratta in una smorfia: quella cui costringe il grido caratteristico del mostro che rappresentano, un essere ora maschile ora femminile che vive nel fondo dei boschi e rapisce i bambini per divorarli. Lévi-Strauss intreccia gli elementi estetici e materici delle maschere con le varianti mitiche e i rituali, esaminando tanto i campi semantici quanto i codici sociologici e cosmologici. La lezione è unica: nulla esiste o ha senso di per sé, tutto si definisce in base a rapporti dialettici.


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