GIORGIO MANACORDA

Conversazione

di

Livio Partiti

con

GIORGIO MANACORDA

"DELITTO A VILLA ADA"

VOLAND

 

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Sperandio ha quarantasei anni,
vive a Roma e fa il poliziotto. È un uomo molto colto, figlio di
professori, e la sera, dopo il lavoro, si diletta a scrivere poesie. La
mattina, qualunque sia il tempo, si alza alle sei e corre nel parco di
Villa Ada.
Un giorno di settembre a Villa Ada viene ritrovato il
cadavere di Vasco Sprache, un poeta che viveva nel parco come un
barbone. Viene scoperto da Giorgio Manacorda, anche lui poeta, che
riferisce in una deposizione scritta i dettagli del ritrovamento. Il
caso non è semplice, è un vero "pasticciaccio". Iniziano gli
interrogatori e le indagini, partendo da chi corre abitualmente in
quelle zone. Tutti hanno un alibi, ma c'è una coincidenza che li unisce:
quasi tutti sono poeti a tempo perso o per passione (e chi non ha
scritto almeno una poesia nella vita, al giorno d'oggi?). Fra i tanti
misteri c'è quello più oscuro: dove è finita la macchina da scrivere
d'oro che alcuni pensavano appartenesse al poeta ucciso? Si dice che sia
un oggetto magico che, come la lampada di Aladino, è in grado di far
emergere il talento e far scrivere a chi la usa grandi poesie. Nessuno
però l'ha mai vista. In mezzo a tanta confusione, Manacorda sembra
proprio il maggior sospettato dell'omicidio. Per Sperandio il caso è un
garbuglio impossibile da districare e la palla passa direttamente al
questore, tale Argante Incravallo. Alla fine le indagini prenderanno una
piega alquanto inaspettata…

 

§

 

Dopo l'esordio con Il corridoio di legno, Giorgio Manacorda ci propone una favola nera sulla poesia e sulla creatività con una trama insolita e avvincente. Delitto a Villa Ada
è anche un'allegoria ironica e amara sulla considerazione che gode la
poesia ai nostri tempi e sul ruolo del poeta nella società. Manacorda
racconta con un tono divertito e allusivo le difficoltà della vita
creativa, i sogni e i fallimenti, feroci invidie letterarie. Non esita a
mettersi in scena facendosi personaggio, scherza su una sua immaginaria
candidatura al Nobel, si denuda con ironia, senza pietà, e si
racconta. Evoca la sua amicizia con Pasolini – che scoprì il Manacorda
poeta -, rende onore a Gadda, sparge tra le pagine evidenti richiami
letterari. È forse in questa caccia  ai riferimenti e alle citazioni che
sta la parte più divertente del romanzo. Manacorda gioca con i nomi
dei suoi personaggi – i cognomi degli interrogati, ad esempio, sono
quelli di importanti poeti italiani. Lascia, alla fine, che il suo
doppio cartaceo venga ucciso. Afferma senza perdere il sorriso
l'inutilità della poesia. I poeti – quelli veri – sono animali rari, una
specie in via d'estinzione.

 

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GIORGIO MANACORDA

 

§

 

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