Farhad Bitani “L’ultimo lenzuolo bianco”

Farhad Bitani Farhad Bitani "L'ultimo lenzuolo bianco" Neri Pozza

Farhad Bitani
“L’ultimo lenzuolo bianco”
Prefazione di Domenico Quirico
Neri Pozza

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«Sono tante, forse troppe, le cose che ho visto nei miei primi trentatré anni di vita. Adesso le racconto. Ho lasciato le armi per impugnare la penna. Traccio i fatti senza addolcirli, senza velarli. Dopo aver vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza nell’ipocrisia, ho un tremendo bisogno di verità».

Inizia così la sconvolgente testimonianza di Farhad Bitani, ex capitano dell’esercito, un giovane uomo che ha attraversato da osservatore privilegiato la storia dell’Afghanistan: dal potere dei mujaheddin ai talebani fino al governo attuale, che vive sotto l’ombrello occidentale.

Farhad nasce a Kabul nel 1986, ultimo di sei fratelli. Suo padre è un generale dell’esercito di Mohammad Najibullah Ahmadzai, il quarto e ultimo presidente della Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Ma, con la presa del potere da parte dei mujaheddin, nel 1992, le cose cambiano. Solo rinnegando il passato e diventando un mujahed, il padre di Farhad avrà salva la vita.

Da quel momento l’esistenza del giovane Farhad cambia radicalmente. La sua famiglia si trasferisce in una grande casa, presidiata dagli uomini della scorta. È a loro che Farhad chiede in prestito le armi, per i suoi giochi di bambino. Quello che sogna è un futuro da combattente, alla testa di un manipolo di uomini. Sparare, uccidere, avere potere e ricchezza: non c’è nulla che desideri di più. Ma le cose sono destinate a mutare ancora. Quando i talebani strappano il potere ai mujaheddin, la sua famiglia cade in disgrazia. Mentre suo padre si trova in prigione, Farhad conosce la fame, la miseria, l’indottrinamento forzato all’Islam. Condotto allo stadio, viene costretto ad assistere alle lapidazioni del venerdì, le punizioni per gli infedeli, coloro che trasgrediscono le leggi del fondamentalismo. Sarebbe facile cedere all’imbarbarimento, credere a ciò che viene inculcato, diventare come coloro che professano la pace, alimentando la guerra. Ma se fosse possibile un destino diverso? Si può attraversare l’inferno e uscirne redenti?

Da guerriero islamista a dialogatore per la pace, attraverso questo libro possente e drammatico Farhad Bitani offre al mondo il vero volto dell’Afghanistan, raccontando in maniera vivida la guerra civile, la violenza gratuita, le perversioni del potere e l’uso della religione come strumento politico.

Farhad Bitani (Kabul, 1986) ex-capitano dell’esercito afghano, è fondatore di GAF Global Afghan Forum e Vicepresidente di Hands for Adoptions. Figlio di un generale dell’esercito afghano, ha vissuto la guerra prima sotto il regime dei mujaheddin e poi dei talebani. Ha compiuto i suoi studi in Italia, prima all’Accademia Militare di Modena e successivamente alla Scuola di Applicazione di Torino. Dopo essersi definitivamente trasferito in Italia come rifugiato politico, ha deciso di dedicare la sua vita al dialogo interculturale e alla pace.

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