Antonio Moresco “Fiabe”

Antonio Moresco Antonio Moresco "Fiabe" Sem Libri

Antonio Moresco
“Fiabe da Antonio Moresco”
disegni di Nicola Samorì
Sem Libri

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Il massimo narratore della letteratura contemporanea reinterpreta la tradizione della fiaba con le illustrazioni di Nicola Samorì, uno degli artisti più apprezzati del panorama italiano.

“Il libro Fiabe è prima di tutto una lotta. È il corpo a corpo di uno scrittore dei nostri giorni con la tradizione della fiaba”.

Questo libro non è una raccolta pacificata di fiabe, non è un’antologia o un florilegio rivolto a un pubblico infantile da ammaestrare attraverso buoni esempi. È un incontro perturbante tra uno scrittore contemporaneo e il grande giacimento di fiaba su cui poggiano le nostre categorie di giudizio e il nostro immaginario. Con libertà e senso del rischio l’autore espande i confini del “genere” della fiaba entrandoci dentro in prima persona e facendo emergere tutta la sua verità e forza. Ed è anche un incontro sul campo tra Antonio Moresco e Nicola Samorì, pittore di grande intransigenza e ardi-mento. Da questo abbraccio è nata un’opera singolare e spiazzante, che unisce in sé originalità, invenzione, potenza e bellezza.

Le fiabe sono estremiste.
Le fiabe sono elettive.
Le fiabe sono profetiche.
Le fiabe sono emblematiche. I protagonisti di fiaba non sono personaggi ma emblemi.
Le fiabe sono sapienziali, rimettono in movimento tutto il nostro sostrato mitico e religioso di specie e lo perturbano.
Le fiabe sono elementari e violente, perché non accolgono spiegazioni parziali e di superficie dell’incombente presenza del male nel mondo.
Le fiabe possono essere contraddittorie. Non obbediscono alla pretesa filosofica della ragione separata da tutto il resto e del suo astratto teorema di non-contraddizione, perché anche la filosofia si è inventata la propria fiaba e Spinoza e Plotino si sono conquistati l’onore di stare accanto a Biancaneve e alla Bambina dei fiammiferi.
Le fiabe possono essere smaccatamente consolatorie – perché gli uomini hanno a volte anche bisogno di essere consolati – oppure veritiere e terribili fino alla crudeltà.
Le fiabe sono state inventate da bambini che sono poi diventati adulti e da adulti che sono diventati bambini, da adulti che per diventare tali hanno ucciso dentro di sé il bambino che erano e che perciò hanno bisogno di vendicarsi sui bambini, e da bambini morti che risorgono dentro gli adulti che li avevano uccisi.
Nelle fiabe c’è il sadismo e il cannibalismo degli adulti verso il bambino che sono stati, ma anche l’irriducibilità del bambino che è dentro l’adulto.
Nelle fiabe è presente un aspetto espiativo, perché queste due forze contrapposte e abbracciate combattono all’interno della fiaba, ed è proprio per questo che le fiabe sono passate attraverso le generazioni di bambini morti e di bambini vivi, di adulti morti e di adulti vivi.

Le fiabe sono eversive, tragiche, resurrettive, perché al loro interno confliggono la vita e la morte, che sono strettamente abbracciate nel mondo.
Le fiabe sono ultimative. Ai protagonisti di fiaba non viene data una seconda chance. Se ti comporti male, è per sempre. Se non sei leale, è per sempre. Se non sei coraggioso, è per sempre. Se non sai riconoscere, se non sei all’altezza dell’invenzione della vita, se non sei all’altezza di te stesso e di ciò che di elettivo ti viene chiesto dall’accadere, è per sempre, non ti verrà concessa una seconda chance, perché tanto ti comporteresti nello stesso identico modo. Ma è vero anche il contrario: se ti comporti bene, se sei coraggioso, se sei leale, se sai riconoscere, accogliere, eleggere, amare, è “per sempre”, che è poi il finale di molte fiabe, come “c’era una volta” è l’inizio. Perché in ogni comportamento e in ogni gesto passa tutta l’anima del protagonista di fiaba, passa indiviso ciò che, in altro tipo di narrazioni, viene parcellizzato in mille diversi aspetti contingenti: psicologici, sociologici, fenomenologici, storici, caratteriali… Nella fiaba invece la psicologia è destino, la storia è destino, il carattere è destino. I protagonisti di fiaba fanno un tutt’uno con il loro destino, nella fiaba non c’è cambiamento orizzontale ma si porta alle sue estreme conseguenze un destino, senza alterarlo. Nella fiaba il processo di conoscenza è l’attraversamento del buio e della luce del mondo, nella fiaba c’è la pazienza suprema, il combattimento, il riconoscimento, la caduta o la gloria. C’è una sola chance nella vicenda del personaggio di fiaba perché la fiaba va a toccare e porta alla luce quella cosa che un tempo veniva chiamata “anima” e che indicava qualcosa di più indivisibile, di più profondo e allagato. Perché il protagonista di fiaba la sua chance l’ha avuta e la sua anima ha potuto – nel bene come nel male – fare un tutt’uno con essa, svelarla, incarnarla e portarla nel mondo. Siamo proprio sicuri che questo tipo di sguardo, che viene giudicato primitivo, infantile, sia alla fine meno veritiero e profondo di quello che registra i cambiamenti di superficie e la loro risacca psicologica, sociologica, storica, che sia meno penetrante, meno adatto a cogliere la “realtà”?
Le fiabe sono verticali. Nella fiaba non è possibile la variazione, ma è possibile qualcosa di molto più radicale: la metamorfosi. Regine che si trasformano in streghe, ranocchi che si trasformano in principi, fanciulle catatoniche e come morte che ritornano in vita, o che si innamorano di un uomo che ha le sembianze di una belva, ragazze angariate che diventano principesse, regine malvagie cui vengono fatte calzare scarpe di ferro arroventate, zucche che diventano carrozze, una teiera rotta che diventa un vivaio, bambini malati che diventano angeli… Perché nelle fiabe non ci sono solo lo specchio del mondo e la sua speculare realtà, perché nelle fiabe lo specchio si rompe, le apparenze possono sempre nascondere qualcos’altro che un incantesimo, un gesto di lealtà, di coraggio, d’amore, addirittura un semplice bacio possono liberare e svelare.
Le fiabe sono esordiche. Nella fiaba l’impossibile può fare irruzione dentro il possibile e dentro la vita e aprire o riaprire drammaticamente il mondo. Scrive Cristina Campo: «La caparbia, inesausta lezione delle fiabe è la vittoria sulla legge della necessità, il passaggio costante a un nuovo ordine di rapporti e assolutamente nient’altro, perché assolutamente nient’altro c’è da imparare su questa terra».

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