Emmanuela Carbé
“L’unico viaggio che ho fatto”
Storia di Gardaland e di quello che è successo dopo
minimum fax
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A Gardaland, il grande parco delle mille attrazioni, si va all’avventura, sulle navi dei magnifici corsari e sulle terrorizzanti montagne russe, nel villaggio western e fra le tombe dei faraoni.
Si va per mantenere una promessa fatta a un «minuscolo fratello» che cresce troppo in fretta, e si corre a perdifiato, senza fermarsi mai, su e giù per il parco, mentre l’ombra di un padre distante prende corpo.
Un viaggio dentro la memoria e il presente, con l’Italia anni Ottanta di Bim Bum Bam e della Fiat Ritmo che fatica a riconoscersi negli abbonamenti comprati su internet e nei passaggi in BlaBlaCar.
Nell’Unico viaggio che ho fatto Emmanuela Carbé racconta con acume e passione Gardaland, il nonluogo del divertimento che si ostina a restare un posto reale di persone vere e belle, racconta l’infanzia perduta tra nostalgia e sollievo e il nostro quotidiano che non s’incastra mai nei desideri e nei sogni, trovando infine un momento di felicità perfetta in un luogo che è, allo stesso tempo, la meta e l’inizio della fuga.
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Dalle prime pagine:
“Guardo la giostra e chiedo a mio fratello se vuole andare a farci un giro. C’è una musica che suona delicata, mi dice no, sono grande, se ci tieni vai tu, ti aspetto qui. Sui cavalli della giostra ci sono soprattutto bambini molto piccoli. Accanto, in piedi, genitori giovani che con i cellulari filmnano i loro figli sui cavalli. Anche io, penso, ma poi chiudo il pensiero prima che sia esagerato: tu non puoi. Salgo al prossimo giro, gli dico. Le transenne si aprono, la voce di una ragazza con un piglio di entusiasmo collaudato dice salire prendere posto. Scelgo il mio cavallo, molto elegante e sobrio, e salgo. Faccio un cenno forzando il sorriso, accarezzo la finta criniera e tiro le redini platealmente.
È il compleanno di mio fratello, è domenica, c’è sole. Sono in attesa di una telefonata e ho la batteria del cellulare quasi scarica; in ogni caso non saprei in che parte del parco mettermi per rispondere, c’è ovunque rumore, musica.
«Abbiamo un problema», telefonata mattutina, «ci aggiorniamo più tardi». Mio fratello mi guardava all’ingresso di casa, sorridente, con lo zaino in mano: «Io direi solo un litro d’acqua, poi riempiamo la bottiglia al Far West», diceva scrupolosamente.
È la sua giornata, gli ho promesso di passare il giorno intero insieme, solo tu e io. È già la sua seconda volta a Gardaland, eppure è emozionato (io mi emozionavo sempre), ha dormito poco per l’ansia (io non chiudevo occhio), ha quasi pianto (io piangevo la sera prima). In macchina cerco di sorridere, con la mano picchietto il suo ginocchio, «Allora hai già deciso che attrazioni fare?», e lui con saggezza dice innanzitutto Oblivion, poi Magic Mountain, poi Blue Tornado, e poi vediamo. «I Corsari no?», chiedo con troppo ritardo, avendo percepito lentamente le sue parole. «E va bene, facciamo anche i Corsari». Arriviamo ai parcheggi e a sorpresa sono ancora molto vuoti. «Cavolo!», mi dice, «hai visto che fortuna?»
Emmanuela Carbé è nata a Verona nel 1983. Ha scritto Mio salmone domestico (Laterza 2013) e racconti per riviste e antologie, tra cui Alta Marea (L’Età della febbre, minimum fax 2015) e “Questioni della lingua (Ma il mondo, non era di tutti?, marcos y marcos 2016). Lavora per PAD – Pavia Archivi Digitali.
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