Sergio Tanzarella
Lettera ai cappellani militari
Lettera ai giudici
Lorenzo Milano
Il Pozzo di Giacobbe
ilpozzodigiacobbe.it
Della lettera di Lorenzo Milani del febbraio1965 ai cappellani militari e di quella del 18 ottobre dello stesso anno ai giudici (in realtà una memoria difensiva per il processo che egli dovette subire a causa della prima lettera) sono state stampate in questi 52 anni innumerevoli edizioni con i titoli più svariati e incredibili, e talvolta con intenti di pura speculazione commerciale. Tuttavia nessuna di queste edizioni si è fatta carico di contestualizzare le lettere e di fornirle di un apparato di note che potesse aiutare il lettore, orientarlo a capire riferimenti e citazioni di avvenimenti della storia italiana contemporanea con i quali potrebbe non avere familiarità. Dal 1965 ad oggi la conoscenza della storia nazionale si è fatta, se mai fosse stato possibile, ulteriormente più vaga tanto da rendere i riferimenti storici di cui scrive Milani indecifrabili a molti.
Nel febbraio del 1965 i cappellani militari in congedo della Toscana emanano un comunicato stampa accusando i giovani italiani obiettori di coscienza di essere dei vili. In loro difesa interviene don Lorenzo Milani con una riposta pubblica a quegli stessi cappellani di incontrovertibile valore morale e civile, nella quale chiede rispetto per chi accetta il carcere a causa dell’ideale della nonviolenza. La Lettera ai cappellani militari si rivela un vero e proprio excursus sugli ultimi cento anni – dall’unità d’Italia alla II guerra mondiale – di Storia patria, densa di conflitti, colonialismo spietato e sistematica sopraffazione verso i ceti più deboli, un excursus scevro di qualunque retorica celebrativa. La lettera viene volantinata tra comunità, associazioni e giornali ma a pubblicarla sarà soltanto il settimanale Rinascita, il 6 marzo 1965. Dieci giorni dopo, don Milani – assieme a Luca Pavolini, allora direttore del periodico comunista – viene denunciato da sei ex combattenti per incitamento alla diserzione e vilipendio alle Forze armate.
Nell’impossibilità di partecipare al processo per l’aggravarsi del tumore che lo porterà, di lì a poco, alla morte, Milani scriverà una memoria difensiva, per certi versi ancora più sferzante della sua risposta ai cappellani, che invierà sotto forma di Lettera ai giudici al Tribunale di Roma il 18 ottobre 1965. Questa volta l’obiezione è lo spunto per un discorso più ampio, che diventa tributo altissimo all’impegno civile individuale, all’I care – il “mi importa” scritto sui muri della scuola di Barbiana – in antitesi al “me ne frego” fascista, indispensabile a far maturare in ogni persona, a cominciare dalle più giovani, non soltanto il “senso della legalità”, ma “la volontà di leggi migliori”.
Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è d’obbedirla.
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianchi anche la leva dello sciopero.
Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio […]. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagar di persona un obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede.
La Lettera ai giudici diventa quindi un possente manifesto contro l’obbedienza cieca, atto d’accusa contro l’illusoria deresponsabilizzazione dell’esecuzione di ordini, come anche di omicidi, impartiti da un’autorità.
Il 15 febbraio 1966 don Milani è assolto “perché il fatto non costituisce reato”. I giudici nella sentenza sottolineano il vuoto legislativo sull’obiezione. A seguito del ricorso dell’accusa, due anni dopo, il verdetto verrà ribaltato: cinque mesi a Pavolini, per don Milani, deceduto il 26 giugno 1967, il “reato [è] estinto per morte del reo”.
La presente edizione critica di Lettera ai cappellani militari e Lettera ai giudici dello storico della Chiesa Sergio Tanzarella supplisce a un vuoto non colmato, per motivi di spazio, neppure dal recente Meridiano Mondadori dedicato all’Opera Omnia milaniana – di cui Tanzarella stesso è tra i curatori.
Qui, per la prima volta le due lettere di Milani sono accompagnate da note che ne chiariscono il senso e le relazioni con il resto dei suoi scritti. Nella postfazione il curatore – l’unico, finora, ad aver consultato gli atti processuali – ricostruisce lo svilupparsi del processo subìto da Milani sia in aula sia sulla stampa ed esamina la serrata corrispondenza, in parte inedita, intessuta allora dal prete, tra cui quella con Aldo Capitini e Giorgio Peyrot, tenendo contestualmente conto della tumultuosa situazione culturale e politica mondiale dell’epoca – quei primi anni ’60 del Novecento segnati dalla crisi di Cuba, dal dirompente pontificato di Giovanni XXXIII, dalla fine del Concilio Vaticano II, dalla guerra in Vietnam, dall’insorgere dei movimenti pacifisti.
L’intero iter preparatorio, in specie alla Lettera ai giudici, può leggersi anche come un’avvincente campagna di comunicazione in cui Milani chiama a sostenerlo personalità dai profili più diversi, mentre contestualmente deve difendersi da numerosi attacchi provenienti nella maniera più violenta primariamente dal mondo militare, ma anche politico e ahimè cattolico.
Il contributo critico di Tanzarella diventa anche indagine storica appassionata dove il clima in cui prendono corpo gli avvenimenti viene restituito in tutta la sua autenticità, non edulcorando errori, esitazioni, intemperanze, laddove ci furono.
Lorenzo Milani (Firenze, 27 maggio 1923-26 giugno 1967), cappellano a San Donato di Calenzano, promosse una Scuola Popolare per giovani operai. A causa di tale impegno venne confinato come priore nella parrocchia di Babiana. «La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c’era solo una scuola elementare. Cinque classi in un’aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola». Ha scritto Esperienze pastorali (1958) – che il Sant’Uffizio fece ritirare dal commercio giudicandolo inopportuno – e, con i suoi allievi di Barbiana, Lettera a una professoressa (1967).
Sergio Tanzarella (1959) è ordinario di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e professore invitato presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Su don Milani ha pubblicato: Gli anni difficili. Lorenzo Milani, Tommaso Fiore e le “Esperienze Pastorali” (2008); con Luigi Di Santo, Lorenzo Milani. Memoria e risorsa per una nuova cittadinanza (2009), mentre di prossima uscita La parrhesia di don Lorenzo Milani – Maestro di vita e di coscienze critiche, tutti editi per i tipi del Pozzo di Giacobbe edizioni È uno dei quattro curatori dell’edizione nazionale di tutti gli scritti di don Milani.
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