Marcello Simoni “Il marchio dell’inquisitore”

Marcello Simoni Marcello Simoni, Il marchio dell'inquisitore, Einaudi

Marcello Simoni
“Il marchio dell’inquisitore”
Einaudi Editore
www.einaudi.it

Porta sul collo, impresso a fuoco, il marchio di un roveto ardente. È razionale come uno scienziato, eppure esperto di demonologia e stregoneria. È scostante, abitudinario, con una patologica avversione per la fugacità del presente; per lui esiste solo la certezza inalterabile di ciò che è già accaduto.

Il cadavere di un uomo incastrato dentro un torchio tipografico. Un investigatore, il cui passato è un mistero perfino per lui, alle prese con intrighi politici, segreti ecclesiastici e vendette private. Una vicenda tesissima ambientata nell’Italia del Seicento, dove la diffusione della stampa sta aprendo le prime crepe nelle mura dell’oscurantismo.

Nella Roma del Secolo di Ferro, a pochi giorni dall’inizio del XIII giubileo, la danza macabra incisa su un opuscolo di contenuto libertino sembra aver ispirato l’omicidio di un religioso. Sul caso viene chiamato a investigare l’inquisitore Girolamo Svampa, nominato commissarius dagli alti seggi della curia capitolina. Ad aiutarlo, tra ritrovamenti di libelli anonimi e strani avvistamenti di un uomo mascherato, ci sono padre Francesco Capiferro, segretario della Congregazione dell’Indice, e il fedele bravo Cagnolo Alfieri. L’indagine, che porta lo Svampa a scontrarsi con personaggi potenti, si rivela subito delicata e pericolosa: prima che si arrivi alla soluzione del mistero ci saranno altri morti.

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Marcello Simoni (Comacchio, 1975) è un ex archeologo e bibliotecario. Con Il mercante di libri maledetti (2011), il suo romanzo d’esordio, è stato per oltre un anno in testa alle classifiche e ha vinto il 60° Premio Bancarella. Un successo confermato da La biblioteca perduta dell’alchimista, Il labirinto ai confini del mondo, L’isola dei monaci senza nome, La cattedrale dei morti, L’abbazia dei cento peccati, L’abbazia dei cento delitti e L’abbazia dei cento inganni. Per Einaudi ha pubblicato Il marchio dell’inquisitore (2016). È tradotto in venti Paesi.

Così comincia:
Roma, via dell’Arco camilliano. 18 dicembre 1624.
Posò la lanterna sul pavimento cosparso di segatura e xilografie sbiadite, osservando le cinque zampe di legno che salivano fino al pianale intarsiato e, sopra di esso, il gioco di travi, corregge e molinelli che davano forma al torchio. Benché fossero in molti a maledire quel genere di ordigno, la Babele da cui si erano propagate le dottrine di mille Lutero e Simon Mago, lui non l’aveva mai inteso uno strumento del diavolo.
Eppure era da lí che spuntavano le gambe della vittima, quasi in procinto di essere divorate insieme al resto del corpo.
La scena gli rammentò Giona ingoiato dal mostro marino, cosí come l’aveva scorto anni addietro sulla miniatura di un salterio veneziano. Con la differenza che nulla, in quel frangente, si sarebbe potuto fare per il malcapitato. Il tronco era irrimediabilmente schiacciato dalla platina metallica, sotto la vite del timpano. L’anima già resa al Signore.
Fra’ Girolamo Svampa raccolse la lanterna e si portò all’altro capo del torchio. Non era la vista del macabro a scuoterlo, bensí una sensazione remota, familiare, che gui- dò la sua mano alla base del collo. Forse era stato l’odore dell’inchiostro di galla a risvegliarla, oppure quello ancor piú pungente degli oli di cui erano intrise le matrici di bosso. Ormai non importava, pensò. Si trattava soltanto di combatterla, quella sensazione, a costo di ricorrere alla boccetta che celava in una tasca della cappa.
Tornò alla bottega, talmente buia da dargli l’impressione di muoversi in una grotta, e avanzò fino alla testa del cadavere.
Si trovava oltre il timpano, al limite estremo del pianale, con la punta della barba rivolta verso l’alto e il capo tonsurato poggiato sul bordo. I lineamenti emersero poco per volta, all’appressarsi del lume, ma appena notò la bocca lo Svampa non si curò d’altro. Guidato da chissà quale follia, qualcuno si era preso la briga di spalancarla fino a slogare l’osso e di ostruirla con delle pagine stampate.
Non tutte, però, erano finite nella cavità. Molte erano cadute a terra, ai piedi del torchio. Sembravano essere appartenute a uno o piú libercoli del medesimo formato e sfascicolati in fretta e furia, in spregio alla carta e alla legatura. Fra’ Girolamo ne raccolse una e, tenendola per un angolo, la esaminò con attenzione…

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