Luigi Botta
“Figli, non tornate!” (1915 – 1918)
Lettere agli emigrati nel Nord America
Prefazione di Gian Antonio Stella
Nino Aragno Editore
La chiamata alle armi degli emigrati destinati alle trincee del primo conflitto bellico mondiale trova nei sovversivi e negli anarchici i più convinti oppositori. Nel Nord America l’attivismo antagonista ruota intorno al giornale «Cronaca Sovversiva», un ebdomadario settimanale che si pubblica dal 1903 ed è animato da Luigi Galleani, battagliero oppositore al potere costituito. Il periodico è un riferimento per gli operai italiani ed è diffuso attraverso i Circoli di Studi Sociali. Allo scoppio della guerra il giornale divulga un appello firmato dalle madri di Palermo. Ha per titolo «Figli, non tornate!». Un documento che invita alla renitenza e diventa il simbolo di una battaglia contro la guerra e contro la chiamata alla leva.
dalla prefazione di Gian Antonio Stella:
“L’emigrato Francesco Fazio fu raggiunto dalla notizia che la Patria lo cercava per mandarlo al fronte mentre stava da qualche parte dell’America. Forse ci credeva davvero, nella Patria. Forse nella contrada statunitense dove aveva trovato lavoro non arrivava il puzzo della morte e la Grande Guerra gli sembrava così lontana da non mettergli spavento. (…)
Certo è che Francesco, che era sbarcato sul suolo americano nel 1906 (…) tornò. E venne ingoiato dalla grande mattanza. Quella descritta, tra gli altri, da Paolo Monelli, che pure era partito volontario con giovanile baldanza: «Già vidi cadaveri gonfi/ verdi su le acque immobili dei laghi/ fissare con occhi sbarrati/ l’indifferenza dei cieli».
Quando la guerra finì, come ha ricostruito Emilio Franzina, impiegò anni per ottenere finalmente che lo Stato gli desse i soldi per il biglietto di ritorno verso New York dove voleva finalmente ricucire il suo sogno americano. Era il 1922. Nel frattempo, però, le leggi erano cambiate. Nel ’21 era stata varata una legge restrittiva che inglobava il «Literacy Act»: ogni immigrato doveva saper fare un dettato di 50 parole. Francesco, buono per spaccarsi la schiena sul lavoro o per giocarsi la vita in trincea, era analfabeta. Respinto.
Occorre conoscere storie come questa per capire fino in fondo quanto sia prezioso il libro di Luigi Botta Figli, non tornate! Lo storico piemontese, infatti, è riuscito a recuperare centinaia di lettere scambiate tra i nostri emigrati negli Stati Uniti e le loro famiglie rimaste in Italia. Lettere contenenti in larga parte un’invocazione di madri, mogli, sorelle ai figli, ai mariti, ai fratelli. Quella di non mettere a rischio il loro agognato american dream e tenersi alla larga dalla mattanza sul nostro fronte orientale.
Certo, spiccano anche lettere gonfie di patriottismo come quella inviata da un padre al figlio minatore a Johnsonburg, in Pennsylvania, per invitarlo a tornar subito: «L’abbiamo servita tutti la nostra cara Patria, ed io spero che tu pure verrai e non ci farai fare brutta figura. È un sacrifizio, ma se non la difendiamo noi chi la deve difendere?». Appello peraltro respinto dal figlio, furente con l’Italia che prima gli aveva negato la possibilità di studiare, poi l’aveva forzato a emigrare: «Non conosco la patria, né essa mi ha mai conosciuto». Ma soprattutto appelli contrari: non vi muovete da lì!
Erano lettere pubblicate poi in gran parte sul giornale «Cronaca Sovversiva», un settimanale anarchico di Lynn, nel Massachusetts, una ventina di chilometri a nord-est di Boston, che aveva tutto l’interesse a far conoscere ogni dissenso contro la guerra. (…) Erano odiati, i Savoia, dagli emigranti italiani anarchici. Al padre che lo invita a tornare in Italia per fare il suo dovere di soldato, Nicola Palmiotti risponde che no, non va fatta confusione: «Capisco che per te saranno eresie queste mie affermazioni, ma è pur necessario che tu ci pensi su almeno per convincerti che tuo figlio ragiona e non sono affatto ingrato né meno affettuoso verso di voi se mi rifiuto di servire la patria dei Savoia e di tutti i ladri nel cui esclusivo interesse sono mantenuti i soldati ed esercitati i giovani nell’ignobile arte di beccai del genere umano».
E se la propaganda italiana adopera tutto il vocabolario della retorica («Sangue, sangue vermiglio bagna le balze alpestri, là dove crescono gli edelveis gentili»), le famiglie da casa incoraggiano il ragazzi a pensare a se stessi. Al proprio futuro. E collaborano con le loro lettere a contenere il flusso di ritorno dei giovani emigrati da inviare alle trincee. Dalle Americhe, stando agli studi di Botta, tornano i 155 mila, dall’Europa 129 mila, dall’Africa poco meno di ventimila; dall’Asia e dall’Australia in 400. Fino a passare complessivamente i 304 mila uomini. Tanti. Molti di più però, forse 470 mila, sono quelli che lasciano cadere l’appello…”
fonte: Corriere della Sera
Luigi Botta insegnante, comincia ad occuparsi di storia nel 1972 scrivendo del caso di Sacco e Vanzetti, sul quale sei anni più tardi pubblica un libro con la prefazione di Pietro Nenni. Da allora continua ad approfondire l’argomento. Giornalista, scrive numerosi volumi e collabora con quotidiani, periodici e riviste in tutto il mondo. Alcuni suoi lavori vengono tradotti. La sua passione sono la storia, l’arte e le tradizioni del territorio subalpino.
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