Ottavio Fatica
“Lost in translation”
Adelphi
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«Il traduttore ha come compito l’interpretazione dei segni, che sono anch’essi sogni, di quei sogni che imbastiscono parole, che le animano: che sono le parole».
“Inizierò da Kipling, che mi ha iniziato ai misteri della giungla e della traduzione.
Kipling aveva sentito, prima di Jack London, il richiamo del wild, della natura selvaggia, della vita allo stato brado; della foresta, come siamo abituati a tradurre. Potremmo dire con maggiore eco al nostro orecchio: della selva. E, molto prima di Ernst Jünger, aveva scelto di darsi alla macchia, d’imboscarsi, di passare al Wald. Questo ricorso al bosco, ai suoi segreti, è una risorsa naturale, un atto di libertà nella catastrofe sempre incombente. Qui l’uomo incontra se stesso nella propria sostanza indivisa, che in un 12 primo momento forse sentirà come ancor più lacerante. Data l’iniziale formazione prevalentemente indiana, Kipling chiamava tutto questo Giungla.
La Giungla è piena di parole che sembrano dire una cosa ma ne signi$cano un’altra. Dove trovare terreno di caccia più fertile, più adatto o favorevole a tradurre| Ma bisogna imparare – e l’apprendistato durerà una vita.”
Ottavio Fatica
Famoso per le sue numerose traduzioni, ricordiamo: il Moby-Dick di Melville, quasi tutto Kipling, i diari di Byron, i limerick di Lear. Per Einaudi ha pubblicato nella collana Collezione di poesie, Le omissioni (2009) e Vicino alla dimora del serpente (2019).
IL POSTO DELLE PAROLE
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