Matteo Moca “Un paniere di chiocciole” Tommaso Landolfi

Tommaso Landolfi. Un paniere di chiocciole. Adelphi Tommaso Landolfi. Un paniere di chiocciole. Adelphi

Matteo Moca
“Un paniere di chiocciole”
Tommaso Landolfi
Adelphi

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Cinquanta elzeviri: ovvero cinquanta micidiali congegni capaci di incrinare ogni certezza.

Costretto a lavorare su un minuscolo scrittoio, il protagonista di A tavolino realizza che lo spazio è insufficiente «a qualunque libera espansione dell’intelletto» e che la redazione di testi «eterni e feraci» gli è ormai preclusa. Eppure, ribadisce a sé stesso, «ho da fare un articolo, e se non lo faccio i miei figlioletti rimangono desolati, famelici…». Così, con feroce autoironia, Landolfi mette in scena la sua condizione di elzevirista al soldo del «Corriere della Sera» e un’idea di letteratura sfrondata di ogni alloro, prigioniera di una gabbia coercitiva, ridotta alla funzione di gagne-pain. Ma proprio nel loro carattere di scrittura ricondotta alla sua chimica essenza risiede il fascino di questi cinquanta elzeviri, perfetti congegni capaci di evocare incontri mancati, occasioni ignorate perché «il gelido soffio della disperazione» spazza via ogni speranza; di vivisezionare relazioni di coppia oblique, simili ad acerbi duelli o a una «benigna trama di nulla»; di rivelare, con la gelida efficacia dell’incubo, l’inconsistenza di ciò che chiamiamo «io», di vanificare la fiducia nella ragione, di dar corpo alle nostre più segrete paure: nello splendido Il bacio, per esempio, l’invisibile creatura che ogni notte visita, imprimendogli un bacio sulle labbra, un timido e al principio deliziato notaio si rivela una falla «nel nero etere cosmico», decisa a succhiargli la vita. Un incubo è del resto il nostro vivere quotidiano, assediato dal bisogno, dal vuoto, da un angoscioso «senso d’irrealtà, di casualità» – dalla tragica consapevolezza che «la gente, quando non è noi, è odiabile perché non è noi; quando è noi, è odiabile perché è noi».

Tommaso Landolfi
Scrittore, poeta, traduttore e glottoteta italiano. Nato da famiglia nobile, si laurea in Lingua e Letteratura Russa all’Università di Firenze nel 1932. In gioventù frequenta la cerchia degli ermetici e collabora a «Letteratura» e «Campo di Marte». Landolfi esordisce come narratore nel 1937 col racconto umoristico e concettuale Dialogo dei massimi sistemi. Alimentato da infinite suggestioni letterarie (da Rabelais a Gogol’ passando per i simbolisti…), il discorso narrativo di Landolfi verte soprattutto sull’incontro-scontro tra istinti e ragione, tra consapevolezza e inconsapevolezza, registrato con ironia e e lirismo. Tra i successivi libri di narrativa ricordiamo Il mar delle blatte e altre storie (1939), La pietra lunare (1939), Racconto d’autunno (1947, da cui sarà tratto un film), Ottavio di Saint Vincent (1958, premio Viareggio), Rien va (1963), Le labrene (1974) e A caso (1975, premio Strega). Ha scritto anche opere di poesia, tra le quali Viola di morte (1972) e Il tradimento (1977, premio Viareggio), e un volume di critica letteraria: Gogol’ a Roma (1971). Per il teatro ricordiamo Landolfo VI di Benevento (1959), Scene della vita di Cagliostro (1963), Faust ’67 (1969). Landolfi è considerato uno dei massimi scrittori del Novecento: in Italia le sue opere sono pubblicate presso Adelphi. Da ricordare che Italo Calvino, che apprezzava particolarmente il suo lavoro, ha curato un’antologia di racconti landolfiani nel 1982.

Matteo Moca è nato a Popoli nel 1990. Ha studiato italianistica a Bologna e a Parigi e fa l’insegnante in provincia di Pistoia. Ha scritto il saggio Un’esigenza di realtà. Anna Maria Ortese e la dipendenza dal fantastico (LiberAria 2022) e si è occupato di Tommaso Landolfi, Georges Perec, Alberto Savinio e Antonio Delfini, e della convergenza tra letteratura, psicoanalisi e arti figurative. Collabora con «Domani», «Il Foglio», «Il Tascabile» e «Blow Up».
“Una consunzione infinita” è il nuovo libro, pubblicato da ItaloSvevo.


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