Massimo Cerulo
“Alfonso Gatto”
Orthotes Editrice
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Alfonso Gatto è inviato al Giro d’Italia e al Tour de France – le due grandi corse a tappe del ciclismo – negli anni del secondo dopoguerra. Prima per l’Unità e poi per Il Giornale del Mattino. In quel periodo, insieme al giornalista sportivo, i quotidiani italiani ingaggiavano il cosiddetto “uomo di colore”: uno scrittore o scrittrice capace di osservare e raccontare tutto quello che girava intorno alla corsa: paesi, persone, odori, aneddoti, leggende. L’obiettivo era quello di “tirare su” una popolazione provata dal conflitto mondiale e, nello stesso tempo, educarla alla lettura. Si trattava dunque di un’opera meritoria, di educazione collettiva, svolta da scrittori di primissimo piano: Dino Buzzati, Achille Campanile, Anna Maria Ortese, Vasco Pratolini (e, in seguito, Gianni Brera, Indro Montanelli, Giovanni Mosca). Di solito, scrivevano per giornali diversi ma spesso e volentieri si confrontavano tra loro e si leggevano (almeno quelli che vivevano in anni comuni).L’“uomo di colore” è una figura oggi dimenticata: l’ultimo superstite è stato Gianni Mura, il quale tuttavia, da grande giornalista qual era, racchiudeva nei suoi articoli sia la cronaca sia, appunto, “il colore”. D’altronde, maestro di Mura fu Gianni Brera che iniziava ad affacciarsi alle grandi corse a tappa alla fine degli anni Cinquanta, come appare in alcuni resoconti di Gatto («parlerò con Gianni Brera che porta anche lui al Giro il suo umanesimo clandestino con cui allena la ragione e tiene sveglia la dignità sua»). Ma cosa racconta un poeta catapultato in mezzo ai ciclisti (che nel gergo vengono definiti “girini”)? Di certo non sta «a sbagliare i conti dei minuti e dei secondi, a credere soltanto al possibile», poiché gli sembrerebbe di «rubare il pane». E dunque si occupa e preoccupa di altro. Scrive versi. Riporta storie. Si entusiasma per imprese sportive che hanno del leggendario – soprattutto se consideriamo il livello di conoscenza tecnica dell’epoca. Si ferma a dialogare con meccanici, passanti, sindaci, locandiere, parenti dei corridori. Produce un diorama del mondo circostante, svolgendo un mestiere che ricorda quello dell’antropologo: una sorta di Lévy-Strauss ingaggiato da un quotidiano per tre settimane in punta di penna.
Massimo Cerulo è professore ordinario di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli “Federico II”. È chercheur associé al CERLIS (CNRS) dell’Université Sorbonne Paris Cité. Ha insegnato e svolto attività di ricerca nelle università di Torino, Salerno, Napoli, Cosenza, Lugano, UQAM-Montréal, EHESS-Parigi, Lille, Montpellier, Londra. È membro della Société Internationale d’Ethnographie, dell’Osservatorio per lo studio dei mutamenti sociali e delle innovazioni culturali (MUSIC-Torino), dell’Osservatorio per lo studio della vita quotidiana e dei processi culturali (OSSIDIANA-Cosenza). Per la casa editrice Orthotes è direttore scientifico della collana “Teoria sociale”. Ha introdotto in Italia parti della teoria sociale di alcuni classici della sociologia, quali Pierre Bourdieu (Sul concetto di campo in sociologia, Roma 2010), Gabriel Tarde (La logica sociale dei sentimenti, Roma 2011) e Arlie R. Hochschild (Lavoro emozionale e struttura sociale, Roma 2013). Tra le sue pubblicazioni più recenti: Emozioni e ragione nelle pratiche sociali (con F. Crespi, Orthotes 2013); La società delle emozioni (Orthotes 2014); Gli equilibristi. La vita quotidiana del dirigente scolastico (Soveria Mannelli 2015); Sociologia delle emozioni. Autori, teorie, concetti (Bologna 2018); Emotions et dynamiques sociales. Règles et expressions dans l’interaction sociale (Montpellier 2020); Giovani e social network (con E. Bissaca, C.M. Scarcelli, Roma 2021); Andare per Caffè storici (Bologna 2021, finalista Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica); Il pensiero sociologico (con F. Crespi, Bologna 2022)
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