Lavinia Spalanca “Ladri di luce”

Ladri di luce. Olschki Editore

Lavinia Spalanca
“Ladri di luce”
Leonardo Sciascia e Piero Guccione tra bellezza e verità
Olschki Editore

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Basterebbe prendere in esame anche pochi squarci dal carteggio inedito intercorso fra Leonardo Sciascia e Piero Guccione dal 1975 al 1989, per cogliere la profonda carica di umanità che innerva l’amicizia fra questi due grandi illuministi “alla rovescia”. Una “corrispondenza d’amorosi sensi”, pur nelle inevitabili differenze ideologiche, che le missive qui riprodotte per la prima volta e i contributi originali del volume ci restituiscono, all’insegna del binomio “bellezza-verità”.

Lavinia Spalanca è ricercatrice di Letteratura italiana presso l’Università di Palermo. Cruciale, tra i suoi molteplici campi d’interesse, il rapporto fra l’intellettuale e il potere dal XVI secolo ai giorni nostri, affrontato in numerosi studi sulla rappresentazione del potere nella Firenze ducale, le diverse declinazioni del racconto bellico nella modernità letteraria, l’eresia conoscitiva e la resistenza etico-civile nel «secolo breve». Studiosa di Sciascia “critico d’arte” (Leonardo Sciascia. La tentazione dell’arte, 2012), è membro della Fondazione “Leonardo Sciascia” e del Comitato nazionale del Centenario sciasciano. Fa parte del Comitato scientifico di «Todomodo», Rivista internazionale di studi sciasciani.

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La nuova collana Olschki, a cura degli Amici di Leonardo Sciascia, nasce per accogliere studi, carteggi, e divagazioni sui testi dell’officina dello scrittore, intessendo sulla carta l’amore per la memoria e la memoria dell’amore per la sua opera. Edo Janich, incisore prediletto di Sciascia, è autore del logo.
«Smara in sanscrito significa tanto amore che memoria. Si ama qualcuno perché lo si ricorda e, viceversa, si ricorda perché si ama. Amando ci si ricorda e ricordando si ama e, alla fine, amiamo il ricordo – cioè lo stesso amore – e ricordiamo l’amore – cioè lo stesso ricordo. Per questo amare significa non riuscire a dimenticare, a togliersi dalla mente un volto, un gesto, una luce. Ma significa anche che, in realtà, non possiamo più averne un ricordo, che l’amore è al di là del ricordo, immemorabilmente, incessantemente presente» (Giorgio Agamben, Autoritratto nello studio).


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