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“La parola di Dante fresca di giornata”

La parola di Dante fresca di giornata

Claudio Marazzini
presidente dell’Accademia della Crusca
“La parola di Dante fresca di giornata”
Accademia della Crusca

https://accademiadellacrusca.it/it/sezioni/la-parola-di-dante-fresca-di-giornata/40

Per ogni giorno del 2021, anno dantesco, nel sito dell’Accademia della Crusca appare una diversa parola o espressione di Dante arricchita da un breve commento, pensato per raggiungere il pubblico più ampio.

La parola di Dante, “fresca di giornata” nonostante i 700 anni che ci separano dalla morte del sommo poeta, sarà rilanciata attraverso i canali social dell’Accademia (Facebook, Twitter, Instagram). Anche in questo modo si intende sottolineare la capacità creativa, l’attualità e la straordinaria leggibilità del grande poeta. L’iniziativa si tiene nell’ambito delle celebrazioni dei Settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Per conoscere le numerose iniziative dell’Accademia e quelle delle altre istituzioni fiorentine, è possibile consultare il sito web dell’Accademia della Crusca accademiadellacrusca.it e quello del Comune di Firenze 700dantefirenze.it.

Queste alcune delle prime parole ed espressioni dantesche che saranno pubblicate nel mese di gennaio. Si tratta di locuzioni, motti, latinismi, neologismi creati da Dante, che in gran parte fanno ancora parte del nostro patrimonio linguistico.

Espressioni divenute proverbiali come lo bello stilo (Inferno, I, 87), lo stile poetico di cui Dante è fiero, e che ha imparato dai grandi modelli classici, Virgilio per primo. Color che son sospesi (Inferno, II, 52), passato nell’italiano come forma proverbiale per indicare uno stato di incertezza e di attesa. Il ben dell’intelletto (Inferno, III, 18), oggi l’espressione è usata per indicare la pienezza della razionalità umana. Bella persona (Inferno, V, 101), espressione che usa Francesca da Rimini per riferirsi al proprio corpo, oggi invece riferita a doti morali come generosità, lealtà, ecc.

Latinismi che arricchiscono la lingua volgare come baiulo (Paradiso, VI, 73), per indicare il “portatore” del segno dell’Impero, cioè l’imperatore. Dante era convinto che l’istituzione universale dell’antico impero di Roma continuasse anche ai suoi tempi, con Arrigo VII. Colubro (Paradiso, VI, 77), “serpente” che indica specificamente l’aspide con cui Cleopatra si diede la morte. Rubro (Paradiso, VI, 79), “rosso” che Dante usa soltanto nell’espressione «lito rubro» (ricalcata sul litore rubro di Virgilio) per indicare il Mar Rosso.

Molti sono anche i neologismi creati da Dante come immiarsi (Paradiso, IX, 81), creato da Dante per indicare la penetrazione della conoscenza di altri in me stesso, fino all’identificazione e alla comprensione totale. Trasumanar (Paradiso, I, 70), per indicare un’esperienza che va oltre l’umano. Incielare (Paradiso, III, 97), la vita perfetta di Beatrice la “inciela”, cioè la mette nel cielo. Imparadisare (Paradiso, XXVIII, 3), Beatrice “imparadisa” la mente di Dante, cioè colloca la sua mente nel cielo, rendendolo atto a contemplare le cose celesti. Come vediamo Dante non aveva paura di usare parole nuove, soprattutto per descrivere l’esperienza paradisiaca e la dimensione sovra-umana.

Ma anche parole espressive e tuttora dense di significato come tetragono (Paradiso, XVII, 24), capace di resistere agli urti della sfortuna, botolo (Purgatorio, XIV, 46) cane piccolo e di poca forza, ma che si sfoga nel latrare e abbaiare. Broda (Inferno, VIII, 53), non il brodo dei cuochi stellati di oggi, ma l’acqua del fiume infernale, fangosa, paludosa e fumosa, acqua grassa. Bruti (Inferno, XXVI, 119), non uomini, ma quasi animali, o animali a tutti gli effetti, incapaci di desiderio di conoscenza, privi della nobile spinta che agisce nell’uomo, anche se non è priva di rischio, come insegna appunto il canto di Ulisse.

Voci onomatopeiche come cricchi (Inferno, XXXII, 30), forse la più antica voce onomatopeica attestata nell’italiano scritto, con cui Dante rende il rumore dello scricchiolio del ghiaccio che sta per rompersi, riferendosi al Cocito, il fiume ghiacciato infernale. Tin tin (Paradiso, X, 143) per indicare il gradevole suono prodotto dalle ruote del congegno di un orologio a sveglia, a cui viene paragonata la corona delle anime beate che appaiono a Dante, muovendosi in giro e cantando.

Per ulteriori approfondimenti sul ricco vocabolario dantesco si rimanda a un altro progetto della Crusca, già da tempo in corso, il Vocabolario Dantesco, frutto della stretta collaborazione fra l’Accademia e l’Istituto del CNR Opera del Vocabolario Italiano, una risorsa informatica accessibile gratuitamente e in continuo aggiornamento http://www.vocabolariodantesco.it/


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