Giorgio Vitari
“Il procuratore e il diavolo di Lucedio”
Neos Edizioni
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L’ombra alligna dietro ricche ville e scintillanti paesaggi vercellesi. Così, l’indagine sull’omicidio di un antiquario conduce Francesco Ròtari a investigare nei meandri di una causa prosaicamente famigliare, ma anche sul mistero che circonda l’inquietante spartito dipinto in una chiesa a Lucedio.
Una nuova squadra affianca il procuratore Ròtari, da poco trasferito a Vercelli, nelle indagini sull’omicidio di Giulio Valinotto, colpito alla testa con una statuetta raffigurante il diavolo. Ròtari individua due piste che potrebbero fare luce sul caso: la prima, riguarda un contenzioso giudiziario tra la vittima e una agiata famiglia del posto per questioni di eredità, l’altra, più oscura, sembra portare a una chiesa sconsacrata intorno alla quale aleggiano sinistre leggende e in cui pare si pratichino riti satanici. Nel corso dell’investigazione, Ròtari avrà modo di interloquire con Felicia Merz un’affascinante giovane giudice, che saprà sollecitare la sua vanità con la costruzione di un arguto gioco di seduzione.
Con un intricato meccanismo investigativo, che svela il lavoro quotidiano degli uffici della procura, l’Autore accompagna il lettore tra gli scandali famigliari locali e il mondo dell’esoterismo. Una scrittura dal ritmo serrato e incalzante che procede con continue scoperte in un crescendo di colpi di scena e cambi di prospettiva.
… Chino sul cadavere c’era il medico legale.
«Dottore, buon pomeriggio ‒ lo salutò il procuratore. ‒ Per fortuna è riuscito a venire».
Il medico non rispose alla provocazione, si limitò a dire: «La morte è dovuta allo sfondamento della scatola cranica per un forte colpo con un oggetto pesante. Verosimilmente quella statuetta di bronzo…». Indicò una piccola scultura posta su una mensola nei pressi del cadavere, alta circa trenta centimetri, scura, raffigurante un diavolo ghignante accovacciato su una grossa pietra. La base della statuetta, quadrata, circa cinque centimetri per lato e spessa tre dita, aveva tracce di sangue. «Forse la morte non è stata immediata – proseguì il medico ‒ ma dovuta all’emorragia endocranica che si è sviluppata successivamente. L’uomo deve aver perso conoscenza per il colpo subìto e non ha potuto chiedere soccorso. Per ora non ho notato sul corpo segni di lotta».
Giorgio Vitari, torinese, nato nel 1948, si è laureato in giurisprudenza dopo gli studi classici al temibile liceo “Cavour” di Torino. Assistente universitario, ha poi superato l’esame di Stato per svolgere la professione di avvocato; nel 1977 ha vinto il concorso ed è entrato in magistratura. In oltre quarant’anni, sempre nel ramo penale, ne ha viste tante e tante ne ha fatte: come pretore penale e sostituto procuratore a Torino, e poi procuratore della Repubblica a Ivrea, Vercelli, Asti, infine avvocato generale presso la Procura generale di Torino. In particolare, come sostituto procuratore, dal 1983 al 1985, ha seguito, durante le indagini e successivamente nel dibattimento di primo grado, il cosiddetto “caso Zampini”, che precorse Tangentopoli. Quel “caso” ha in parte ispirato le vicende, peraltro dovute in gran parte alla sua fantasia, raccontate in questo libro.
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