Gianluca Barbera
direttore editoriale
Edizioni Theoria
Dal 1982 al 1995 la casa editrice Theoria fu una palestra editoriale, e pubblicò i debutti di autori come Lodoli e Veronesi. Chiusa per problemi finanziari, ora rinasce, con una nuova gestione.
Fondata a Roma nel 1982, la casa editrice Theoria chiuse nel 1995, a causa di problemi finanziari, ma nella sua breve storia pubblicò i debutti di autori come Sandro Veronesi, Marco Lodoli, Giulio Mozzi, Sandro Onofri, Sandra Petrignani e diversi altri. Theoria fu una “palestra editoriale”, in cui tra l’altro si formarono Paolo Repetti e Severino Cesari, poi protagonisti con il progetto Einaudi Stile Libero.
Ora arriva l’annuncio della “rinascita” delle Edizioni Theoria. Una gestione nuova, un nuovo catalogo, e una nuova direzione editoriale, affidata allo scrittore Gianluca Barbera. Una quarantina i titoli previsti nel primo anno di Rimini Edizioni Theoria (questo il nome del progetto): la rete promozionale sarà affidata a Libromania, mentre Messaggerie Libri sarà il distributore.Spazio a una collana di “classici moderni”, affidata ad Andrea Caterini, dal titolo “Futuro Anteriore”. La prima uscita di questa collana è Piccoli borghesi di Pierre Drieu La Rochelle, assente dalle librerie italiane da circa mezzo secolo.Le altre “prime” uscite della “nuova” Theoria sono Il giocattolo rabbioso di Roberto Arlt, Il terrore di Arthur Machen e L’inferno di Henri Barbusse.
Henri Barbusse
L’inferno
Un uomo sulla trentina, stanco di tutto, si rintana in un albergo di provincia in cerca dell’oblio. Qui accederà a una dimensione segreta e intima dell’esistenza spiando attraverso un buco nel muro le vite altrui, tra miserie, incanti, rivelazioni, depravazioni. “L’Inferno”, opera pubblicata nel 1908, nella quale coesistono una scrittura e una sensibilità simboliste e decadenti con temi naturalisti, segna una svolta nella produzione letteraria di Barbusse. Pur conservando tracce di cupo pessimismo, l’autore tende al suo superamento attraverso uno slancio, se non ancora proiettato verso una salvifica dimensione socializzante, avviato quantomeno a una forma di rigenerante umanitarismo. Attraverso uno sguardo vigile e dilatato, Barbusse penetra nelle singole infelicità, strappando brandelli di verità a quel formicolare di esistenze appartate e oscure. Al suo apparire, il romanzo fece scalpore per la scabrosità dei temi trattati.
Roberto Arlt
Il giocattolo rabbioso
C’è un momento nella vita di ogni bambino in cui il perimetro rassicurante entro cui vive viene abbandonato per avventurarsi nel mondo esterno. E in quel momento che l’infanzia finisce e spunta un primo germoglio di vita adulta. Un appetito di mondo sentito non più come grande appartamento ma come boscaglia, terra selvaggia. Di questo momento in cui il perimetro della vita infantile si spacca racconta “II giocattolo rabbioso” (“El juguete rabioso”), pubblicato nel 1926 dallo scrittore argentino Roberto Arlt, all’esordio. Nella Buenos Aires di inizio Novecento, Silvio Astier, il giovane protagonista del romanzo, sperimenta la durezza del mondo attraverso una serie di avventure condotte sull’orlo del precipizio, in bilico tra delinquenza e desiderio di trovare una collocazione all’interno dell’ordine sociale. Tra disordinate e devianti letture, espedienti di ogni tipo e in un crescendo di peripezie, finisce per maturare una visione disincantata del mondo che lo porta a prendere atto della sua congenita condizione di outsider, di escluso. “Il giocattolo rabbioso” rappresenta il più autobiografico dei romanzi di Roberto Arlt e un punto di riferimento nella storia letteraria ispanoamericana.
Arthur Machen
Il terrore
Mentre il continente europeo è sconvolto dalle devastazioni della Prima Guerra Mondiale, in un remoto angolo dell’Inghilterra le autorità devono fare i conti con una catena di fatti di sangue dai contorni mostruosi. Sono in molti a pensare a una diabolica macchinazione degli Imperi centrali, a qualche micidiale arma segreta capace di seminare il panico tra la popolazione. Il terrore ormai è ovunque: nei boschi e sulle scogliere, in fondo alle paludi e sulla superficie del mare, nel cielo e fra i campi. Un flagello biblico che incombe su uno spazio immenso. È ovunque eppure non si vede. Il terrore di Machen è “una ballata macabra e potente che, elaborando in chiave ‘sacra’ il geniale insegnamento di Stevenson (il primo grande cantore, insieme a Poe, della moderna alienazione), ci rammenta che ignoriamo tantissime cose della natura e dell’universo, ma più ancora di noi stessi; e ci ammonisce che la ragione, se elevata a idolo, può mutarsi da luce in tenebra”.
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