Daria Deflorian
“Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni”
di Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
con Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
Monica Piseddu e Valentino Villa
La Fabbrica delle Idee, Festival
Racconigi
Una indagine esistenziale della crisi, intima e politica, è quello che Daria Deflorian e Antonio Tagliarini propongono in “Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni”, nuova tappa nel lavoro di questo duo che ridefinisce il ruolo dell’attore come autore e interprete. Punto di partenza e sfondo del lavoro è una immagine forte, tratta dalle pagine iniziali di “L’esattore”, romanzo del 2011 di Petros Markaris.
Siamo nel pieno della crisi economica greca quando vengono trovate le salme di quattro donne, pensionate, che si sono tolte volontariamente la vita con barbiturici e vodka: «(…)abbiamo capito che siamo di peso allo Stato, ai medici, ai farmacisti e a tutta la società –spiegano in un biglietto–. Quindi ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni. Risparmierete sulle nostre quattro pensioni e vivrete meglio». Da quando nel 2008 hanno iniziato a collaborare creando e curando la regia di spettacoli, installazioni, letture teatrali e performance, Deflorian e Tagliarini –nati entrambi come interpreti (lei attrice e lui attore e danzatore)– hanno puntato a ridefinire la recitazione, l’immedesimazione e la distanza critica verso il personaggio, trovando un insolito equilibrio.
Una miscela dissacrante e intima, ironica e fragile, dove l’attore è chiamato a parlare di sé per trovare il personaggio, e sul palcoscenico nudo e privo di orpelli recita una parte per guardare a sé stesso e alla realtà. In “Ce ne andiamo…”, dove a Tagliarini e Deflorian si aggiungono Monica Piseddu e Valentino Villa, la crisi italiana appare una metafora di quella greca che è narrata attraverso un fatto di cronaca inventato, vale a dire quei “suicidi della crisi” nati come provocatoria finzione nel romanzo di Markaris, ma che hanno trovato una inquietante eco nella realtà anche italiana.
La decisione di andarsene delle quattro pensionate, in bilico tra la rinuncia esistenziale e l’atto politico, diventa un rifiuto della nostra “Società della stanchezza”, come l’ha definita il filosofo Byung–Chul Han assertiva e ottimista perché incapace di altro, e oramai dolcemente declinante verso l’impossibilità della dignità della vita.
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