Conversazione di Livio Partiti, con Enzo Restagno, direttore artistico MiTo, Settembre Musica.
Con tono sprezzante qualcuno definiva un po’ di anni fa “cultura
dell’almanacco” le stagioni di concerti attente agli anniversari. Più
passa il tempo e più mi convinco che gli anniversari sono occasioni
per conservare il senso della storia che sempre più ci scivola via fra
le dita occupate a premere troppi tasti. Bisogna ammettere però che
con il 2013 si sfiora l’ossessione: cento anni fa nascevano Benjamin
Britten e Witold Lutosławski; cinquant’anni fa morivano Paul Hindemith
e Francis Poulenc e, allungando lo sguardo, scopriamo che nel 1613
moriva con Gesualdo da Venosa l’autore di madrigali incomparabili e
cento anni dopo se ne andava Arcangelo Corelli, un compositore e
violinista la cui fama dilagò nel mondo intero. Guardando più da vicino
l’almanacco si scopre che settant’anni fa moriva Rachmaninov e che
l’indimenticabile Luciano Berio se n’è andato da dieci anni. I decessi
non disegnano però nella musica un paesaggio di lapidi; divengono al
contrario punti di partenza di percorsi tali da giustificare i versi
di un sonetto nel quale John Donne invita la morte a deporre la sua
superbia – “Death be not proud, though some have called thee mighty
and dreadful.” – poiché dopo un breve sonno “Non vi sarà più morte. E
tu morte, morrai”. Nella storia della musica questa sconfitta della
morte si concretizza nella forma barocca del Tombeau inteso come
sorgente dalla quale scaturisce la luce della bellezza. Il programma
di MITO SettembreMusica è dunque costellato di meravigliosi Tombeaux o
di Apothéose come quella che François Couperin creò immaginando che
Lully e Corelli si ritrovassero sul Parnaso e suonassero insieme. Ma
allora cosa resta al di fuori delle ricorrenze? Innanzitutto un inno al
presente che risuona nei tre concerti dedicati a George Benjamin, il
compositore inglese diventato in breve volgere di anni una delle
figure più importanti della scena musicale internazionale. Una sintesi
tra il nuovo e l’antico nasce nel Duomo di Milano con la celebrazione
del millesettecentesimo anniversario dell’Editto dell’Imperatore
Costantino.
Per questa ricorrenza MITO SettembreMusica, Casa Ricordi e la Veneranda
Fabbrica del Duomo hanno bandito un concorso per un componimento sacro
che avrà la sua prima esecuzione il 18 settembre a Milano insieme a
pagine di Mozart e di Stravinsky. Una Messa di Orlando di Lasso in
Sant’Ambrogio e una di Cherubini in San Marco a Milano ampliano nel
nostro cartellone la categoria del sacro e, dando retta a Stravinsky,
che definiva le Messe di Mozart dolci peccati musicali, dobbiamo
ammettere che mercoledì 4 settembre alla Scala e il 5 a Torino al
Teatro Regio, ci troveremo con la Messa in do minore K. 427 di fronte
al più dolce di questi peccati.
A questo punto non so resistere alla tentazione di gettarmi la bussola
dei progetti e delle ricorrenze dietro le spalle e inoltrarmi nel
labirinto musicale del nostro festival dove trovo l’adorata Orchestra
Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Yuri Temirkanov, quella di
Budapest sotto la bacchetta di Iván Fischer, Zubin Mehta che dirige Le
Sacre du printemps, Haendel nella raffinata esecuzione de Les Arts
Florissants, Antonio Pappano alla guida dell’Orchestra dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia e chiese, chiostri, sale e angoli
inconsueti di entrambe le città con marching band che avanzano a passo
di jazz, gruppi di solisti di musica contemporanea, Luis Bacalov con
le musiche della sua terra, Carlo Boccadoro coi suoi Sentieri
selvaggi, l’Ensemble Antidogma che esegue Les Mariés de la tour
Eiffel.
E poi Salvatore Accardo, Uto Ughi, Sol Gabetta, Khatia Buniatishvili,
Vadim Repin, Aldo Ciccolini, Truls Mørk, Gidon Kremer, Antonello
Venditti, Franco D’Andrea: non ho il dono dell’ubiquità ma farò di
tutto per non perdermeli!
dell’almanacco” le stagioni di concerti attente agli anniversari. Più
passa il tempo e più mi convinco che gli anniversari sono occasioni
per conservare il senso della storia che sempre più ci scivola via fra
le dita occupate a premere troppi tasti. Bisogna ammettere però che
con il 2013 si sfiora l’ossessione: cento anni fa nascevano Benjamin
Britten e Witold Lutosławski; cinquant’anni fa morivano Paul Hindemith
e Francis Poulenc e, allungando lo sguardo, scopriamo che nel 1613
moriva con Gesualdo da Venosa l’autore di madrigali incomparabili e
cento anni dopo se ne andava Arcangelo Corelli, un compositore e
violinista la cui fama dilagò nel mondo intero. Guardando più da vicino
l’almanacco si scopre che settant’anni fa moriva Rachmaninov e che
l’indimenticabile Luciano Berio se n’è andato da dieci anni. I decessi
non disegnano però nella musica un paesaggio di lapidi; divengono al
contrario punti di partenza di percorsi tali da giustificare i versi
di un sonetto nel quale John Donne invita la morte a deporre la sua
superbia – “Death be not proud, though some have called thee mighty
and dreadful.” – poiché dopo un breve sonno “Non vi sarà più morte. E
tu morte, morrai”. Nella storia della musica questa sconfitta della
morte si concretizza nella forma barocca del Tombeau inteso come
sorgente dalla quale scaturisce la luce della bellezza. Il programma
di MITO SettembreMusica è dunque costellato di meravigliosi Tombeaux o
di Apothéose come quella che François Couperin creò immaginando che
Lully e Corelli si ritrovassero sul Parnaso e suonassero insieme. Ma
allora cosa resta al di fuori delle ricorrenze? Innanzitutto un inno al
presente che risuona nei tre concerti dedicati a George Benjamin, il
compositore inglese diventato in breve volgere di anni una delle
figure più importanti della scena musicale internazionale. Una sintesi
tra il nuovo e l’antico nasce nel Duomo di Milano con la celebrazione
del millesettecentesimo anniversario dell’Editto dell’Imperatore
Costantino.
Per questa ricorrenza MITO SettembreMusica, Casa Ricordi e la Veneranda
Fabbrica del Duomo hanno bandito un concorso per un componimento sacro
che avrà la sua prima esecuzione il 18 settembre a Milano insieme a
pagine di Mozart e di Stravinsky. Una Messa di Orlando di Lasso in
Sant’Ambrogio e una di Cherubini in San Marco a Milano ampliano nel
nostro cartellone la categoria del sacro e, dando retta a Stravinsky,
che definiva le Messe di Mozart dolci peccati musicali, dobbiamo
ammettere che mercoledì 4 settembre alla Scala e il 5 a Torino al
Teatro Regio, ci troveremo con la Messa in do minore K. 427 di fronte
al più dolce di questi peccati.
A questo punto non so resistere alla tentazione di gettarmi la bussola
dei progetti e delle ricorrenze dietro le spalle e inoltrarmi nel
labirinto musicale del nostro festival dove trovo l’adorata Orchestra
Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Yuri Temirkanov, quella di
Budapest sotto la bacchetta di Iván Fischer, Zubin Mehta che dirige Le
Sacre du printemps, Haendel nella raffinata esecuzione de Les Arts
Florissants, Antonio Pappano alla guida dell’Orchestra dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia e chiese, chiostri, sale e angoli
inconsueti di entrambe le città con marching band che avanzano a passo
di jazz, gruppi di solisti di musica contemporanea, Luis Bacalov con
le musiche della sua terra, Carlo Boccadoro coi suoi Sentieri
selvaggi, l’Ensemble Antidogma che esegue Les Mariés de la tour
Eiffel.
E poi Salvatore Accardo, Uto Ughi, Sol Gabetta, Khatia Buniatishvili,
Vadim Repin, Aldo Ciccolini, Truls Mørk, Gidon Kremer, Antonello
Venditti, Franco D’Andrea: non ho il dono dell’ubiquità ma farò di
tutto per non perdermeli!
Enzo Restagno
Direttore artistico
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