Antonella Gargano
curatrice del libro:
“Il sorriso della sfinge”
di Ingeborg Bachmann
Cronopio Editore
cronopio.it
“Vede quel tavolo laggiù, alla finestra?”, chiese l’uomo agitato. “Vede, dottore, era là sotto il tavolo, al buio, il libro con cui è cominciata la storia. Là al buio era la mia mano e lo ha afferrato, si è bruciata. Là – la mia mano mi fa ancora male. Là – i miei occhi, la mia testa. Questi dolori. Là è accaduto. E’ un posto particolare? No, un posto qualsiasi. Ma in un posto qualsiasi, in un’ora qualsiasi, accade, comincia. Io non so cosa sarà per Lei, dottore. Per lei accadrà in un altro luogo, in un’altra ora. E Lei soffrirà, griderà nella notte, non saprà più dove sbattere la testa, non saprà più vivere come prima. E Lei chiederà, chiederà e mille lievi, soffici, umide risposte non saranno sufficienti per quest’unica bruciante domanda… Io La invito. Non faccia storie, La invito, perché Lei è proprio in gamba e ha un così bell’aspetto. Beva ancora un bicchiere con me, compagno dottore, caro compagno, Lei è un tipo fine…”
Nella stessa epoca in cui prendeva forma la sua opera poetica, Ingeborg Bachmann cominciò a scrivere anche dei racconti. Alcuni furono pubblicati in riviste, altri rimasero inediti o allo stato di frammento. Il sorriso della sfinge li presenta nella loro totalità.
La grande sobrietà e precisione della scrittura dell’autrice trova in questi dieci racconti, scritti tutti negli anni ’50, la sua prima sorprendente espressione. Le figure che vi appaiono sono intrecciate tra loro come le lettere di un monogramma o gli arabeschi di un ornamento. Sono come ombre che permangono pur restando inafferrabili: donne e uomini tra i quali nascono e si consumano rapporti tanto intensi – talvolta anche molto violenti – quanto effimeri; donne e uomini che vivono la loro esistenza senza essere in grado di coglierne il senso. Alludere a eventi che per coloro che li subiscono rimangono un segreto, evocare destini che si incrociano in un ambiente sospeso e rarefatto: in questo consiste la singolare forza di questi racconti che, quando furono pubblicati insieme per la prima volta, all’indomani della morte dell’autrice, suscitarono l’entusiasmo della critica.
Ingeborg Bachmann – fonte: treccani.it
Bachmann ‹bàkℎman›, Ingeborg. – Poetessa austriaca (Klagenfurt 1926 – Roma 1973). Ottenne il primo riconoscimento col premio conferitole dal “Gruppo 47” per le poesie riunite in Die gestundete Zeit (1953), nelle quali i motivi ideologici della sua formazione intellettuale (Heidegger, Wittgenstein) s’incontrarono con il tema della generazione venuta dopo gli orrori della guerra nella dimensione d’un linguaggio spesso tormentato e astruso, ma sempre autentico. Nella successiva raccolta, Anrufung des grossen Bären (1956), i nodi espressivi tendono a sciogliersi in un dettato più lucido (vi compare spesso, al posto del metro libero, la strofa rimata), pur senza perdere di profondità. Di singolare interesse (a parte alcuni testi minori, fra i quali ricorderemo i radiodrammi Die Zikaden, 1955 e Der gute Gott von Manhattan, 1958, in forma di ballata) sono altresì i volumi di racconti Das dreissigste Jahr (1961) e Simultan (1972) e il romanzo Malina (1971): pagine narrative caratterizzate da una intensa vibrazione poetica, anche se quasi sempre lontane dai moduli della “prosa lirica”.
IL POSTO DELLE PAROLE
ascoltare fa pensare
ilpostodelleparole.it