Sandro Capellaro
Conoscenza, Ascolto, Dialogo… e una Città
I Salmi
Lunedì 22 febbraio alle ore 21 presso il Salone Antico Palazzo Comunale di Saluzzo in Via Salita al Castello si terrà un incontro sul tema dei Salmi.
Perché promuovere un incontro sui Salmi? Perché far incontrare esponenti di religioni diverse proprio sui salmi? Uno dei grandi maestri giudaici del I-II sec.d.C., il rabbì Agiba, definì i Salmi “canto di ogni giorno e canto per ogni giorno”, le poesie dei Salmi si aprono al brusio delle strade, alle ore tragiche delle devastazioni, della distruzione dei luoghi della religione, alle tragedie delle coscienze, al dramma del peccato. I Salmi sono dunque una lettura quanto mai attuale e, come scriveva David Maria Turoldo, “chiedono di uscire dalle aree sacre, di ritornare nel rumore delle città, di essere ascoltati e magari pronunciati anche da chi non ha nessun Dio”.
Proprio per questi motivi l’Associazione Giorgio Biandrata ha deciso di iniziare un dialogo religioso, ma anche aperto a chi religioso non è, proprio sui SALMI e crede che riflettere su queste preghiere e poesie così antiche ma anche così ricche di un’umanità senza tempo e di tutti i tempi possa esserci di aiuto a vivere una vita più piena, consapevole e solidale nel presente e per un futuro migliore.
I relatori sono quattro:
Don Michelangelo Priotto, il Rabbino Ariel Di Porto di Torino, il Pastore Claudio Pasquet di Torre Pellice e il dottor Giuseppe Costa.
Ogni relatore ha scelto un Salmo da introdurre e commentare, i Salmi verranno letti da Maria Virginia e Maria Ludovica Aprile e accompagnati dalla musica lieve delle chitarre e dalla voce di Luisa Rossaro, Paolo e Alessandro Aigotti, a cui sarà affidata anche l’apertura e la chiusura della serata.
In una edizione antica molto preziosa del 1840 intitolata “ L Liber d’i salm dë David”, conservata nella Sinagoga di Cuneo, ho trovato i testo dei SALMI tradotto in piemontese dal Pastore valdese Enrico Geymet, ne verranno proposti quattro liberamente scelti e letti da Carlo Panero.
Introduce e presenta l’incontro Marcella Risso, Associazione Giorgio Bandata.
«Si rimane sorpresi a prima vista che nella Bibbia vi sia un libro di preghiere. La Bibbia non è infatti tutta una parola di Dio rivolta a noi? Ora le preghiere sono parole umane e perciò come possono trovarsi nella Bibbia? Se la Bibbia contiene un libro di preghiere, dobbiamo dedurre che la parola di Dio non è soltanto quella che egli vuole rivolgere a noi, ma è anche «quella che egli vuole sentirsi rivolgere da noi». Queste righe scritte da Dietrich Bonhoeffer, il teologo cristiano martire nel carcere nazista di Flossenbürg la mattina del sabato santo 1945, spiegano limpidamente al credente il significato di queste centocinquanta liriche che la tradizione ebraica ha chiamato Tehillim, «Lodi», e quella greca Psalmoi, «Inni da cantare con musica».
Proprio perché parola dell’uomo questi carmi sono intrisi di lacrime e di sorrisi, di sofferenza e di speranza, di supplica e di ringraziamento e, nonostante la tradizionale attribuzione globale a Davide, il re della dinastia messianica, essi coprono un arco storico e letterario ampio quanto l’intera storia d’Israele. Si va, infatti, dal canto della tempesta «dai sette tuoni», un testo forse del XII sec. a.C. opera di un Israele appena approdato nella terra di Canaan, alla marcia militare dei Hasidim, «i pii» combattenti dell’epoca dei Maccabei nel 167-164 a.C. (Salmo 149), passando attraverso la potente ode di Davide raccolta dal Salmo 18 e la straziante elegia pronunziata «lungo i fiumi di Babilonia» durante l’esilio del VI sec. a.C. (Salmo 137).
In questo spirito si può dire che, per il credente, il Salterio sia, come scriveva il teologo mistico russo Pavel Evdokimov, «nella vita come un santuario che non è separato da nessuna grata rispetto alla strada e alla casa». È per questo che la stessa definizione dei «generi letterari», cioè dei modelli fondamentali entro cui l’incandescenza dei sentimenti e della fede si ordina e si esprime, corrisponde ai grandi itinerari della vita.
D’altro lato, però, questo Salterio è per tutti gli uomini che amano la poesia, che riflettono sul mistero dell’esistere e del morire, che sperano e s’indignano, insomma, che vivono da uomini. Ed è per questo che la versione, frutto della lunghissima compagnia di un poeta col Salterio, cerca di tendere la lingua italiana al suo massimo splendore per farle esprimere lo splendore di una lingua così lontana com’è l’ebraico antico. S. Gerolamo, il grande traduttore della Bibbia, scriveva che non basta tradurre i Salmi «in linguam latinam», bisogna renderli «latine», non basta cioè trasferire materialmente segmenti di frasi dall’ebraico in italiano, bisogna invece cogliere tutte le risonanze, le allusività, gli echi, le tonalità e ricostruirle nella nostra lingua. Così, accanto al poeta, ha vegliato uno studioso della Bibbia, uno specialista proprio del Salterio che a quest’opera ha dedicato già un monumentale commento scientifico di tremila pagine. Egli ha offerto al poeta tutta la tavolozza dei colori orientali nascosti in quelle parole antiche, tutte le costellazioni dei simboli, delle immagini, delle allusioni perché nella penna del poeta rifiorissero in colori, in simboli, in echi della lingua vicina all’uomo di oggi. Il commento, intanto, scioglieva per ogni salmo i segreti letterari e storici, ne tratteggiava in modo essenziale il movimento poetico e spirituale. E qua e là alcune «oasi» poetiche ricreavano in nuovi salmi le emozioni e i pensieri di alcuni salmi antichi.
Nel suo commento al Salterio il grande maestro alessandrino Origene (III sec.) racconta che un dotto ebreo, probabilmente un membro dell’accademia rabbinica di Cesarea, gli aveva paragonato le Sacre Scritture ad un grande palazzo con molte, moltissime stanze. Davanti ad ogni stanza c’è una chiave, ma non è quella giusta. Le chiavi di tutte le stanze sono scambiate: trovare le chiavi giuste che aprono le porte è compito di chi spiega la Bibbia. Con questo volume abbiamo 12 voluto offrire le centocinquanta chiavi per l’ingresso nelle stanze del Salterio. Ora tocca al lettore di entrare e di sostare. Alcune camere saranno modeste, quotidiane, con le impronte della vita semplice, altre saranno simili a saloni affrescati e sontuosamente arredati; in alcune si respira atmosfera di gioia, si celebrano nozze, si fa festa, in altre gli strumenti musicali sono velati in segno di lutto, come si faceva in Israele durante le calamità, e si ode il lamento e il pianto. Ma in tutte c’è la possibilità di un incontro, c’è il rischio gioioso di vedere nella luce altra luce (Salmo 36,10). Ed allora sarà bello restare a lungo come il passero e la rondine che qui hanno posto i loro nidi perché «un giorno in questi atri più di mille ne vale nelle ospitali tende dell’empio» (Salmo 84,4.11).
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