Paolo Maurensig “Teoria delle ombre”

Paolo Maurensig Paolo Maurensig "Teoria delle ombre" Adelphi

Paolo Maurensig
“Teoria delle ombre”
Adelphi

“Quel pomeriggio gli apparve la madre, seduta accanto a lui nell’ampio soggiorno della casa in cui aveva passato la sua giovinezza, a Mosca. La grande finestra che si affacciava sull’Arbat era ricamata dal gelo invernale. Lo Zar Nicola II era fermo sulla soglia e aspettava di entrare per conferirgli un’altissima onoreficenza.”
Teoria delle ombre

La mattina del 24 marzo 1946 Alexandre Alekhine, detentore del titolo di campione del mondo di scacchi, venne trovato privo di vita nella sua stanza d’albergo, a Estoril. L’esame autoptico certificò che il decesso era avvenuto per asfissia, e che questa era stata provocata da un pezzo di carne conficcatosi nella laringe – escludendo qualsiasi altra ipotesi. La stampa portoghese pubblicò la versione ufficiale, e il caso fu rapidamente archiviato. Da allora, però, sulle cause di quella morte si sono moltiplicati sospetti e illazioni. Qualcuno ha insinuato che le foto del cadavere facevano pensare a una messinscena; qualcun altro si è chiesto come mai Alekhine stesse cenando nella sua stanza indossando un pesante cappotto – senza contare che il defunto aveva un passato di collaborazionista, e che i sovietici lo giudicavano un traditore della patria… Con il fiuto e il passo del narratore di razza, e con la sua profonda conoscenza del mondo degli scacchi («lo sport più violento che esista», ha detto uno che se ne intendeva, Garri Kasparov), Paolo Maurensig indaga sulla morte di Alekhine cercando di scoprire, come dice Kundera citando Hermann Broch, «ciò che solo il romanzo può scoprire».

Se Alekhine fosse stato uno scienziato nazi- sta mangiaebrei, inventore di ordigni di sterminio e perciò protetto dai potenti, al- lora quella plebaglia intellettuale avrebbe trattenuto codardamente il fiato. Così inve- ce la vittima dovette ingoiare fino in fondo l’amaro calice… Anche il supremo gesto della sua dipartita è stato volgarmente insu- diciato. E noi pavidi abbiamo strozzato in gola la commozione, tacendo. Perché la sola virtù che tutti fraternamente accomu- na, bianchi e neri, ebrei e cristiani, è la viltà.
Esteban Canal

“Teoria delle ombre” di Paolo Maurensig
Così comincia:

Ancora una volta mi sveglio in piena notte, soffocato dalla calura di fine agosto, e nel ritrovarmi coricato nel letto di questo modesto albergo di Estoril mi sento sopraffatto dall’ansia. Quella domanda, che da anni mi ossessiona, non fa che amplificarsi nella solitudine e nel silenzio notturni, fino a diventare assor- dante. Riuscirò infine a trovare una risposta?
Tutto ha avuto origine dalla mia inveterata passione per gli scacchi. Posso infatti definirmi un dilettante entusiasta, anche se non ho mai partecipato a un torneo di qualificazione, né raggiunto un posto nella classifica ufficiale. Va detto però che persino un giocatore da caffè può trarre grandi soddisfazioni da questo gioco. In fondo, si trova a competere con avversari della sua stessa levatura, e l’emozione che prova non è molto diversa da quella vissuta dai campioni. C’è inoltre il piacere della ricerca, dello studio delle partite giocate dai grandi maestri del passato, e anche della scoperta di quanto le loro vite siano state tormentate, proprio a causa della loro devozione assoluta a questo temibile idolo. Vite che molto spesso si sono concluse in modo tragico.
Sono nato in Venezuela e ho trascorso l’infanzia a Caracas. Mio padre morì quando avevo solo cinque anni. Mia madre si impiegò allora come governante in una famiglia di italiani che aveva fatto fortuna nella ristorazione. Era benvoluta e molto legata a loro; così, quando questi decisero di ritornare in Italia, ci trasferimmo anche noi stabilendoci nella capitale.
Dal momento, però, che ho intenzione di parlare
della vita di un altro, non è il caso che mi dilunghi sulla mia, che è trascorsa fino alla soglia dei cinquant’anni in un’aurea mediocrità; e se a un tratto ho deciso che avrei scritto un romanzo, non l’ho fatto per il desiderio di riscattarmi da una grigia esistenza, ma spinto unicamente da un’idea fissa: scoprire le cause della morte di un uomo, avvenuta quasi settant’anni
fa. Quell’uomo è Aleksandr Aleksandrovič Alechin, più noto come Alexandre Alekhine, e se in qualche modo ho imparato il gioco degli scacchi a un livello per me soddisfacente, lo devo a lui. Lo devo allo studio delle sue impareggiabili partite e ai commenti da lui stesso espressi, in modo chiaro e comprensibile, sulle varie fasi del suo gioco e sulle strategie applicate nel corso di ogni singola partita. Egli è ormai da molti anni il mio modello, il mio nume tutelare. Solo recentemente, però, ho cominciato a indagare sul suo passato, e da lì è scaturita l’idea di scrivere un romanzo. Non tanto sulla sua vita, in realtà, quanto sugli ultimi giorni che precedettero la sua morte tuttora inspiegabile. Per farlo, ho dunque indossato i panni di un investigatore deciso a riaprire il caso di un crimine archiviato senza essere stato risolto. Sono venuto a Lisbona e ho visitato tutti i circoli di scacchi, a cominciare dal Turf Club, nella centralissima Rua Garrett, fino all’ultima bettola fumosa di Estoril, dove ho contattato parecchie persone, spacciandomi per un giornalista interessato a scrivere un articolo sulla vita di Alekhine.
La conoscenza del portoghese – che era la lingua
di mia madre – mi è stata di grande aiuto nel comunicare con la gente del luogo. A quanto sono riuscito a scoprire finora, però, ci sarebbe solo un uomo in grado di fornirmi qualche notizia inedita sui fatti accaduti a quel tempo. Si chiama Rui Nascimento. Scacchista, problemista, musicista e poeta, è un personaggio molto popolare a Lisbona. Sfortunatamente, è ricoverato in ospedale, in fin di vita. E non c’è da stupirsi, visto che è arrivato all’invidiabile età di novantotto anni. Ciononostante, ho deciso lo stesso di fargli visita. Ho pensato che forse avrei avuto modo di parlare con qualcuno dei familiari. E invece non ho neppure trovato il coraggio di varcare la soglia della sua stanza. Il letto era accanto a una finestra schermata da una tenda da cui filtrava una luce lattiginosa. Attorno a
lui, alcune donne vestite di nero stavano raccolte in preghiera. Sono riuscito a intravederne solo il profilo aquilino, che le guance scavate rendevano più adunco: un volto già ridotto a una maschera funebre. Finora, dunque, nulla di nuovo si è aggiunto a quanto avevo già scoperto attraverso le mie ricerche. Più di sessant’anni sono passati da allora, e ancora oggi il mistero della sua morte rimane irrisolto. Con l’avvento di Internet, poi, le ipotesi – molte delle quali non mi sentirei di condividere – si sono moltiplicate all’inverosimile. Restano comunque quelli che sono i fatti accertati e documentabili.
La mattina di domenica 24 marzo 1946, Alexandre Alekhine, campione del mondo di scacchi, fu trovato senza vita nella sua stanza dell’Hotel do Parque, a Estoril. A dare l’allarme il cameriere al piano incaricato di portargli la prima colazione, il quale, entrato con il carrello delle vivande, vide il maestro adagiato nella solita poltrona: con gli occhi chiusi e la testa reclinata sullo schienale, sembrava addormentato. Al posto della giacca da camera, indossava un cappotto, il braccio sinistro gli pendeva inerte lungo il fianco e tra le dita stringeva un pezzo di carne…

IL POSTO DELLE PAROLE
ascoltare fa pensare
www.ilpostodelleparole.it