Matteo Ferretti “Tutto brucia e annuncia”

Matteo Ferretti Matteo Ferretti "Tutto brucia e annuncia" Edizioni Casagrande

Matteo Ferretti
“Tutto brucia e annuncia”
Edizioni Casagrande

www.edizionicasagrande.com

«Tutto brucia e annuncia di Matteo Ferretti è un libro complesso e incandescente: tra i migliori che mi sia capitato di incrociare negli ultimi anni. (…)

La visionarietà è una delle cifre maggiori di questo libro, e si manifesta nel ritmo serrato, a tratti vertiginoso, che conduce da un’immagine all’altra, da un’esperienza personale a una dimensione collettiva, a cavallo tra tempi e mondi distanti eppure riuniti, per un attimo, nella bruciante realtà della parola».
Fabio Pusterla

Con una nota di Fabio Pusterla e le illustrazioni di Marino Neri

L’apocalisse pure è una prospettiva,
l’emergenza continua e definitiva,
il meteorite a precipizio, il blackout totale,
il bye-bye delle testate a lungo raggio
che prima sciolgono la terra poi ne fanno polvere,
le catastrofi naturali o l’invasione
dei barbari, degli alieni,
gli attacchi simultanei dei kamikaze,
le strategie del terrore
su vasta scala per toglierci tutti di mezzo
o per chi ancora ci crede
il grande diluvio purificatore.

Poi chiedersi quanto presto si farà a morire
perché non c’è dubbio che saremo tra i primi;
se berremo il piscio nell’attesa,
dell’acqua tossica e melmosa,
ci taglieremo la lingua
con l’orlo di una scatoletta abbandonata;
che effetto farà contrattare per ore,
per giorni con la morte;
stare nel buio e nel rombo con i nostri incubi;
se ci ricorderemo che avevamo letto,
che avevamo amato;
se ci ricorderemo dei figli
e cercheremo di metterli in salvo;
se ci farà ribrezzo l’ultimo bacio
nell’alito della fine.
Se anche allora saremo bastardi e invidiosi,
se ce l’avremo ancora col vicino
che camperà qualche ora di più
o morirà in modo migliore.
Non è poi così difficile immaginarci in quelle ombre
più lunghe del normale, scavalcati dalla fine
mentre tentiamo un’ultima fuga.
Perché non avremmo più nulla alle spalle;
ogni filo sarebbe reciso
e vivremmo di schiena. Gli ordini, le schiere
tornerebbero chiari e il senso di tutto starebbe
in un giudizio di poche parole:
tu sei ancora in piedi;
tu hai fame, ma non troverai cibo;
tu sei il più debole della carovana.
Forse è proprio questa la ragione
dell’odierna furia:
un voler mettere ordine
senza il costo dell’attesa,
della parola che spiega,
dell’eterna nostra contraddizione.
E l’odio è troppo spesso un atto d’amore
dato a un ideale
che non ha bisogno dell’uomo.

Non stringiamoci troppo alla fiamma,
sembrerà che abbiamo paura
o peggio che vogliamo pregare,
ma noi solamente vogliamo
vegliare e controllare il respiro dei bambini
e guardarli crescere
nel tempo di una candela.
E poi lucidare in pace nella notte
qualcosa di antico e nascosto.
Quanti racconti avrebbe la fiamma,
di ferite scrutate nel buio e di lettere
presto distrutte, di grotte abitate dai lupi
e scale di pietra che scendono sul fondo.
Ma noi non vogliamo portare il fuoco
in tanta oscurità;
basta quel poco di luce per sapere
di essere ancora umani
e vedere, una per volta, le piccole ragioni
di arrivare fino a domani.

Noi siamo uno dei due
che si salutano nel bosco:
quello che ha ritrovato il sentiero.
Quello che nel passaggio in cresta
ha afferrato un appiglio e ha guardato
l’altro nella neve
sprofondare.
Quello che non era al campo quando è stato saccheggiato,
nella grotta quando è crollata; che ha fiutato la tigre
prima dell’inevitabile.
Quello che ha ammirato l’acciaio
dei cavalieri al galoppo, ma non li ha seguiti
perché sapeva che domani
li avrebbe trovati riversi.

Noi siamo la somma di tutte le astuzie, le vittorie, i casi fortunati
e anche il più disperato, il reietto, l’ignobile
o chi solo ha un istante di respiro
potrà dire che infinita è la schiera
di chi per lui ha vissuto e che non si è spenta fiamma
senza che, più forte del tempo,
a lui venisse un’inconsapevole preghiera.

IL POSTO DELLE PAROLE
ascoltare fa pensare

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