Conversazione di Livio Partiti con Simonetta Santamaria "Io vi vedo", Tre60
SIMONETTA SANTAMARIA
IO VI VEDO
TRE60
Napoli, novembre 2011. Sul ciglio di una strada di periferia viene
trovato il cadavere della giovane Lucia Campobasso. È stata uccisa in
modo brutale: per gli inquirenti, si tratta di un'esecuzione. Ma i
responsabili rimangono ombre inafferrabili, ombre che tormentano il
padre della vittima, un poliziotto.
Febbraio 2012. Maurizio
Campobasso, capo del reparto investigativo anticrimine di Napoli, ha
ricevuto una soffiata «sicura»: in una cascina abbandonata sono
rinchiusi dei clandestini, in attesa di essere mandati per le strade a
rubare o a prostituirsi. Dopo aver circondato l'edificio, però, la
squadra viene assalita alle spalle da un commando armato. Nell'agguato
muoiono quattro agenti e Campobasso perde un occhio.
Era una trappola.
Maggio
2012. Menomato nel fisico e stravolto dal dolore e dal rimorso per la
perdita della figlia e dei colleghi, Campobasso si dimette dalla
polizia. Le indagini non hanno portato a nulla e lui ha perso ogni
fiducia nelle istituzioni. Ma il suo animo è tormentato dall'oscura
sensazione che tutte quelle morti siano collegate e che sia proprio lui,
Maurizio Campobasso, la chiave di un piano criminale più vasto e
sanguinario di quanto si possa immaginare.
È ora di mettere da parte
la Legge e di agire, nell'ombra, come un feroce giustiziere solitario. È
ora di scatenare una spietata caccia all'uomo – o agli uomini – che non
risparmierà niente e nessuno.
Perché quando il desiderio di vendetta prende il sopravvento, nulla può fermarlo…
ascolta qui la conversazione
Mi sto svegliando.
Era lì e aspettava. Aspettava che la luce riportasse in vita le cose,
che ne definisse i contorni prima e le forme poi, che rispedisse
all'inferno i fantasmi del buio. Aspettava il suono della sveglia e il
colore dei capelli della moglie, lo strusciare svogliato delle
pantofole, lo scroscio della doccia e il profumo di caffè.
Aspettava
la voce della figlia e l'arrivo del gatto, il suo zampettargli
sull'addome a suon di ronfi. Aspettava un salvifico ritorno alla vita
dopo una notte di incubi e dolore. Avvertiva un'emicrania violenta, una
di quelle brutte emicranie cui era tristemente abituato e rassegnato.
Provò a girarsi su un fianco puntellandosi sulla gamba sinistra ma non
ci riuscì, una fitta tremenda alla coscia gli suggerì di non riprovarci.
Non lo fece. Strinse invece il lenzuolo tra le dita, appena un po',
lottando contro un fastidioso formicolio tipico di un arto addormentato.
Mi sto svegliando. La testa gli doleva, ora ne era certo. Tutto come al
solito: stessa merda, altro giorno. L'angolo della bocca gli si
arricciò in un abbozzo di sorriso, tanto tra poco sarebbe tornata la
luce. Aspettava e aspettò, ma nulla accadde. Sentì il cuore pulsargli
nel petto veloce, sempre più veloce, fino a correre impazzito come una
gazzella inseguita da un leone affamato.
Paura. Era tutto quel buio senza fine a fargli paura.
IL POSTO DELLE PAROLE
ascoltare fa pensare