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Aldo Schiavone “Progresso”

Aldo Schiavone "Progresso" Il Mulino Editore

Aldo Schiavone
“Progresso”
Il Mulino Editore

mulino.it

“Ha ancora senso parlare oggi di progresso? La tecnica e la scienza sono la nostra ragione al lavoro: il prodotto decisivo della nostra storia. Ma adesso sono sottoposte alla più implacabile delle verifiche.”

Una parola che sembra quasi da evitare, un ricordo di tempi lontani e di perdute ingenuità intellettuali. Eppure, l’idea di progresso esprime qualcosa di profondo e di essenziale: una rappresentazione della storia senza la quale la nostra identità e la nostra capacità di progettare il futuro sono a rischio. Scritte appena prima che iniziasse la crisi del Coronavirus, queste pagine, cui tocca oggi la più implacabile delle verifiche, si interrogano sulla funzione progressiva della tecnica e della scienza, che non sono una potenza estranea: sono nostre figlie, siamo noi.

“Le idee sostenute in questo libro hanno avuto la possibilità di essere immediatamente sottoposte alla prova dei fatti. Una prova che getta su di esse una luce di verità cui non possono sfuggire, con inaspettata crudezza. In che modo un saggio che cerca di riformulare il concetto di progresso riesce a superare l’incontro con un episodio dai tratti catastrofici, un’epidemia globale che ha sconvolto il pianeta? Considero l’epidemia un segnale della storia. Forte, allarmante, violento. Se sapremo leggerlo per il meglio, se riusciremo a coglierne tutto il significato ‘profetico’, esso non sarà arrivato invano. Altrimenti, potrebbe essere solo l’annuncio di rovine ancora più gravi, forse irrimediabili.

[…] La prima evidenza che emerge dai mesi passati, è la conferma del peso preponderante che la tecnica e la scienza che la sorregge hanno ormai assunto nel determinare il corso della nostra vita. Le epidemie hanno segnato da sempre la storia dell’umano: dalla pestilenza ateniese descritta da Tucidide alla “febbre spagnola” i processi che ogni volta le innescano fanno parte del contesto biologico nel quale si inserisce la nostra specie. Ma la forma sociale che le epidemie ogni volta assumono – come si diffondono, con che velocità, come vengono trattate, in che modo vengono elaborate dalla nostra cultura – varia caso per caso, e dipende solo dalla storia. In questo senso, quella del Covid-19 è stata la prima epidemia al mondo fin dall’inizio (o quasi) sottoposta a una medicalizzazione totale, planetaria, che si è accompagnata a un’onda di informazioni (sia pure con alcune vistose falle), che non ha smesso mai di avvolgerla. Nulla di simile era prima accaduto. Un abisso la separa da questo punto di vista rispetto all’influenza cosiddetta “spagnola” di un secolo fa, consumatasi quasi in silenzio, nonostante il numero spaventoso di vittime […]

Nella congiuntura, la scienza e la tecnica sono apparse nitidamente per quello che effettivamente sono: le custodi dell’umano, le garanti della sua esistenza. I loro protocolli, le loro procedure, le loro prescrizioni sono diventate per la prima volta la misura di una globalità universalmente accettata. Non più ridotta, come finora, alla sola dimensione del mercato e delle merci, ma in grado di incidere sulla stessa nuda vita, e di metterla in gioco.

Chi ancora avesse dubitato sulla funzione progressiva di quei saperi e di quelle pratiche, della loro capacità di proiettarsi persino oltre il guscio capitalistico che pur sempre le contiene – è rimasto clamorosamente smentito. La tecnica e la scienza non sono una potenza estranea a noi, che ci determina da fuori. Sono nostre figlie. Sono la nostra ragione al lavoro: il prodotto decisivo della nostra storia. Questa riappropriazione di massa della scienza da parte del suo popolo – una specie di riconciliazione e di riconoscimento mai prima vissuto in modo così intenso – è stato un fenomeno di inconsueta potenza, che apre alla speranza.

[…] Secondo un’opinione che ha avuto seguito in questi mesi l’epidemia sarebbe in qualche modo l’effetto di una natura sconsideratamente violata, eccessivamente forzata, pressata. Deturpata da urbanizzazioni troppo accelerate, dalla scomparsa di paesaggi agrari millenari a favore di alveari umani dove si concentrano milioni di persone, da abitudini alimentari che mischiano antiche culture contadine e nuove attitudini consumistiche di massa. La malattia ci ricorderebbe invece che noi siamo parte di un habitat naturale da rispettare e non da stravolgere.

Non nego che in questa visione vi siano elementi di verità, da non sottovalutare. L’economia capitalistica – questa, non la tecnica in quanto tale – possiede intrinseci tratti rapinosi e predatori, che tendono a moltiplicare, se non ben controllati, squilibri e ferite sociali e ambientali di vastità imprevedibili.

Ciò che invece assolutamente non mi sembra da accogliere è un retropensiero secondo cui si ritiene che i nostri problemi dipendano dall’aver superato un limite invalicabile, e che l’unico modo per salvarci sia di tornare indietro, finché siamo in tempo. Tutta la nostra storia dimostra che non è così: quando questi pretesi confini non erano stati certo superati, e la natura era intatta nella sua presunta sacralità, si moriva come mosche. Le epidemie e le crisi provocavano autentiche periodiche decimazioni nella popolazione europea. Massacri accettati dal senso comune come eventi inevitabili, “naturali”, appunto […] Ormai tutto questo è dimenticato, per fortuna: almeno in Occidente; e lo sarà presto in tutto il resto del pianeta. La natura violata riesce a nutrire miliardi di persone, e lo potrebbe fare ancor meglio se non vi fossero atroci distorsioni non dovute all’arroganza della tecnica, ma a quella della politica o dell’economia. […] La decisiva differenza di questa crisi rispetto a quelle del passato consiste nel dato che oggi noi diamo alla vita – alla singola vita, nella sua granulare individualità, quasi dovunque nel mondo – un peso altissimo. E’ un cambiamento che fa compiere all’umano un salto di qualità senza eguali. Ed è perciò che destano allarme un numero di vittime che un secolo fa sarebbe passato quasi inosservato. […] Oggi abbiamo alzato moltissimo la soglia della nostra attenzione rispetto all’umano: e questo si riflette nel modo in cui affrontiamo l’emergenza. E un simile cruciale salto etico e politico è stato solo il progresso della tecnica a renderlo possibile. La risposta ai problemi del presente è dunque davanti a noi, non alle nostre spalle. C’è da proseguire il cammino, non da tornare sui nostri passi.”

Aldo Schiavone è uno degli storici italiani più tradotti al mondo. Ha insegnato in numerose università e, da ultimo, nella Scuola Normale Superiore. Tra i suoi libri più recenti: «Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria» (2016) e «Eguaglianza. Una nuova visione sul filo della storia» (2019), pubblicati da Einaudi.

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